Internazionale del 6 Marzo scorso pubblicava un inquietante articolo di Tullio De Mauro intitolato "Analfabeti d'Italia". L'articolo dice cose terribili, come "Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea." L'articolo mi causa sbigottimento, depressione, rabbia.
E ancora: "Sacche di popolazione a rischio di analfabetismo [...] si trovano anche in società progredite. Ma non nelle dimensioni italiane (circa l'80 per cento in entrambe le prove).
Tra i paesi partecipanti all'indagine l'Italia batte quasi tutti. Solo lo stato del Nuevo Léon, in Messico, ha risultati peggiori. I dati sono stati resi pubblici in Italia nel 2001 e nel 2006. Ma senza reazioni apprezzabili da parte dei mezzi di informazione e dei leader politici."
Questi dati (online sono citate le fonti) portano a molte riflessioni circa lo stato attuale della societa' italiana e soprattutto sul suo futuro. De Mauro ne segnala alcune: "Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica." Chi ha in mano le aziende italiane? Quanto sono ignoranti quei manager?
Personalmente, trovo questi dati particolarmente inquietanti ora, in periodo elettorale. I Leader politici, evidentemente, sanno di parlare a una massa di ignoranti (e, se i numeri non mentono, in molti casi ne fanno anche parte) e quindi si regolano di conseguenza. Se l'80% dei votanti non ha i mezzi sufficienti per comprendere un testo piu' complesso di "Compra Dash, che piu' bianco non si puo'" o qualsiasi dato piu' astruso della classifica della Serie A, siamo sicuri che il suffragio universale, in questa situazione, sia una buona idea? Possiamo presumere che la classe politica (o quella imprenditoriale) rappresenti il "meglio" della popolazione italiana e non sia composta, invece, come il resto, di un 80% di asini? De Mauro nota che non c'e' niente di male a essere "ignoranti", in determinate condizioni: "nelle società aristocratiche a base agricola, purché ci fossero alcuni letterati, la maggioranza poteva fare tranquillamente a meno di queste capacità. I saperi essenziali venivano trasmessi oralmente e perfino senza parole", ma "in quelle che dagli anni settanta del novecento chiamiamo pomposamente "società postmoderne" o "della conoscenza", leggere, scrivere e far di conto servono sempre, ma per acquisire livelli ben più alti di conoscenza necessari oggi all'inclusione, anzi a sopravvivere in autonomia". Quindi ci si chiede: chi ha in mano, oggi, il futuro della nazione?
Questi dati, poi, a non essere ipocriti, mi suggeriscono altri pensieri un po' antipatici. Secondo queste ricerche, in un gruppo di 10 persone, mediamente, con 8 di loro non potro' conversare di nulla di piu' complesso di "che tempo fa oggi", "cos'ha fatto la juve ieri" o "cos'hai visto al centro commerciale sabato". Antipatico, lo so.
E ancora: "Sacche di popolazione a rischio di analfabetismo [...] si trovano anche in società progredite. Ma non nelle dimensioni italiane (circa l'80 per cento in entrambe le prove).
Tra i paesi partecipanti all'indagine l'Italia batte quasi tutti. Solo lo stato del Nuevo Léon, in Messico, ha risultati peggiori. I dati sono stati resi pubblici in Italia nel 2001 e nel 2006. Ma senza reazioni apprezzabili da parte dei mezzi di informazione e dei leader politici."
Questi dati (online sono citate le fonti) portano a molte riflessioni circa lo stato attuale della societa' italiana e soprattutto sul suo futuro. De Mauro ne segnala alcune: "Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica." Chi ha in mano le aziende italiane? Quanto sono ignoranti quei manager?
Personalmente, trovo questi dati particolarmente inquietanti ora, in periodo elettorale. I Leader politici, evidentemente, sanno di parlare a una massa di ignoranti (e, se i numeri non mentono, in molti casi ne fanno anche parte) e quindi si regolano di conseguenza. Se l'80% dei votanti non ha i mezzi sufficienti per comprendere un testo piu' complesso di "Compra Dash, che piu' bianco non si puo'" o qualsiasi dato piu' astruso della classifica della Serie A, siamo sicuri che il suffragio universale, in questa situazione, sia una buona idea? Possiamo presumere che la classe politica (o quella imprenditoriale) rappresenti il "meglio" della popolazione italiana e non sia composta, invece, come il resto, di un 80% di asini? De Mauro nota che non c'e' niente di male a essere "ignoranti", in determinate condizioni: "nelle società aristocratiche a base agricola, purché ci fossero alcuni letterati, la maggioranza poteva fare tranquillamente a meno di queste capacità. I saperi essenziali venivano trasmessi oralmente e perfino senza parole", ma "in quelle che dagli anni settanta del novecento chiamiamo pomposamente "società postmoderne" o "della conoscenza", leggere, scrivere e far di conto servono sempre, ma per acquisire livelli ben più alti di conoscenza necessari oggi all'inclusione, anzi a sopravvivere in autonomia". Quindi ci si chiede: chi ha in mano, oggi, il futuro della nazione?
Questi dati, poi, a non essere ipocriti, mi suggeriscono altri pensieri un po' antipatici. Secondo queste ricerche, in un gruppo di 10 persone, mediamente, con 8 di loro non potro' conversare di nulla di piu' complesso di "che tempo fa oggi", "cos'ha fatto la juve ieri" o "cos'hai visto al centro commerciale sabato". Antipatico, lo so.
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