diritti dell'uomo

A proposito di quotidiani, non sono piu' abbonato al Manifesto cartaceo (viste le modalita' di consegna random), ma ho mantenuto l'abbonamento su web. Il Manifesto ha il pregio di essere sottile, avere poca pubblicita', e contenere ogni tanto delle notizie che vengono taciute dal resto dei mass media. Da un giornale che si definisce "Quotidiano Comunista" non e' che ci si possa aspettare particolare imparzialita', ma almeno in questo caso e' scritto in prima pagina e uno lo sa prima, invece di illudersi di chissa' cosa sfogliando il Corriere e simili.

Il Manifesto del 27 Luglio riportava un articolo riguardante una vicenda che io ho scoperto ora, e che ci dice che viviamo in un paese che e' stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione del Diritto di Liberta' di Espressione. (vedere qui e qui).

Copio-incollo l'articolo pari pari, perche' non credo che Il Manifesto se ne avra' a male. Ho evidenziato io in neretto l'incredibile casus belli.

CASO RIOLO, DUE OPPOSTE IDEE DI LIBERTA'
Nicola Tranfaglia
Il caso Riolo si avvicina alla conclusione. Riassumo i dati essenziali di questa incredibile storia che, dopo quattordici anni, ha visto la Corte europea dei diritti dell'uomo stabilire che Claudio Riolo ha esercitato soltanto la libertà di stampa prevista dalla Costituzione repubblicana e dalla Convenzione europea e che l'Italia, condannandolo al risarcimento dei danni nei confronti del presidente della provincia di Palermo Francesco Musotto, ha violato l'art. 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea.
Tutto nasce dall'articolo che appare nel novembre 1994 su Narcomafie la rivista del gruppo Abele diretta da don Luigi Ciotti intitolato: «Mafia e diritto. Palermo: la provincia contro se stessa del processo Falcone. Lo strano caso dell'avvocato Musotto e di Mister Hyde». Si tratta di un commento critico alla decisione di Francesco Musotto, presidente della provincia di Palermo e avvocato penalista, di mantenere la difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci, mentre l'ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo. Dopo cinque mesi Musotto avvia nei confronti di Riolo, senza tirare in ballo la rivista, un procedimento civile per risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa, chiedendo 700 milioni di risarcimento. L'articolo viene ripubblicato da Narcomafie nel maggio 1995 e questo giornale lo ripubblica il 3 maggio con l'aggiunta della firma di 28 esponenti del mondo politico e culturale palermitano «che lo fanno proprio condividendone i contenuti e ritenendolo legittima espressione dell'esercizio della libertà di stampa, di opinione e di critica politica».
Ma la giustizia italiana procede. Dopo quasi sei anni l'autore viene condannato in primo grado a Palermo a pagare 80 milioni che con gli interessi pregressi diventano circa 118 e con quelli futuri 140. Dal giugno 2001, subisce il pignoramento di un quinto dello stipendio e dell'indennità di fine rapporto. Riolo ricorre in appello e nell'aprile 2003, la prima sezione civile della Corte d'Appello di Palermo conferma la sentenza di primo grado. L'autore ricorre in Cassazione nel luglio 2003 e dopo tre anni e otto mesi la III sezione civile della Corte di Cassazione respinge il ricorso e conferma le precedenti sentenze.
Nel 2007 Riolo presenta un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo attraverso l'avvocata Alessandra Ballerini e questa accoglie il ricorso e condanna l'Italia per violazione dell'art. 10, ritenendo l'articolo su Musotto non diffamatorio ma fondato su fatti veri e legittima espressione della libertà d'opinione. Lo stato italiano, secondo la sentenza, dovrà risarcire Riolo con 60.000 euro e 12.000 euro per le spese.
La giustizia italiana ha impiegato dodici anni per affermare una visione anticostituzionale della libertà d'espressione, la Corte europea in pochi mesi ha ristabilito i principi richiamati dal ricorrente. Siamo di fronte a due concezioni dello Stato e del diritto: quella dei giudici italiani che hanno privilegiato il supposto diritto del presidente Musotto a non subire critiche, pur fondate su fatti veri. E quella della Corte europea che, come è ovvio, ha posto al centro della sua pronuncia, il rispetto del principio sancito dalla Convenzione della libertà di espressione.
E' agevole concludere che la concezione dei giudici italiani porta alla vittoria dei potenti (sembra un'anticipazione del lodo Alfano) e quella europea ci riporta allo stato di diritto ma, a quanto pare, i mezzi di comunicazione in Italia preferiscono non parlare di questi casi. Insomma siamo in una situazione complessa che vede finalmente l'inversione di un processo italiano che non ha voluto applicare leggi e costituzione secondo le regole dello stato di diritto ma sarà necessario ancora lottare per attuare la sentenza europea. Riolo dovrà ancora combattere per far accogliere la pronuncia della Corte europea dalla giustizia italiana attraverso la revoca dei giudizi finora pronunciati, la revoca dell'esecuzione di quelle sentenze e l'accoglimento della sentenza europea. Ci vorranno altri anni o si tratterà di un procedimento rapido?
E' difficile rispondere a una simile domanda ma, se ci fosse una campagna dei giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa in questa direzione, si potrebbe sperare in un esito rapido e positivo della procedura. E' quello che ci auguriamo dopo dodici anni di una vicenda che ha visto l'Italia scendere, per quanto riguarda la giustizia dei cittadini, agli ultimi posti dell'Europa contemporanea.

Sempre in vena lombrosiana, la faccia di Musotto si puo' vedere sul suo sito. Profili Wikipedia: eng - ita.

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