Mi meraviglia ogni volta come la vicenda di Alitalia mostri un gigantesco sperpero di soldi sulla pelle di dipendenti, clienti e cittadini contribuenti, perpetrato per anni per far arricchire piccole e grandi mafie e che si sta concludendo, sotto l'egida di questa parvenza di Governo che ci ritroviamo, con un po' di soldi facili per una piccola banda di pirati e trecento milioni di euro prelevati dalle nostre tasche. Il tutto completamente alla luce del sole, senza che alcuno dei mass media del paese abbia avuto il coraggio di gridare allo scandalo e puntare il dito contro chi ha imbrogliato gli Italiani, raccontandoci balle e sprecando i soldi delle nostre tasse per far arricchire un po' di piu' i soliti noti.
Non e' tanto per Alitalia, delle cui sorti non mi puo' importare di meno, ma e' l'indicazione della situazione politica, economica e dell'informazione di questo Paese ad essere deprimente.
Il Manifesto di oggi riassume con precisione:
"Ormai non c'è più necessità di far finta. La vendita di Alitalia a Cai, e quindi ad Air France-Klm, è quasi ufficiale. I francesi (che da ieri hanno come nuovo amministratore delegato Henry Gourgeon, mentre Jean-Cyril Spinetta resta presidente) entreranno nella società con 310 milioni di euro. Quanto basta per prendere il 25% e quindi la posizione di «azionista di riferimento». Tempo qualche mese, con tutta probabilità, gli allegri soci della «cordata italiana» prenderanno il largo, cedendo in tutto o in parte le proprie quote nanerottole. Se il «rilancio» industriale - grazie all'esperienza dei francesi e alle sinergie che questi possono garantire - sarà andato in porto, ci guadagneranno anche qualcosina, come promesso loro da Berlusconi. In ogni caso, per un gruppo composto da costruttori edili, immobiliaristi e concessionari dello stato (Autostrade, per esempio), non mancherà il modo di essere coinvolti in altri affari a rischio zero.Non c'è più bisogno di far finta neppure sulle vere cause del fallimento della compagnia. In un'intervista all'Espresso l'attuale commissario straordinario, Augusto Fantozzi, ammette che «Alitalia pagava tutto il triplo». Dal carburante (fornito dall'Eni, altra società controllata dal Tesoro) al catering, in una spirale di favoritismi che si è non a caso ingigantita dal momento in cui - all'inizio degli anni '90 - a livello comunitario fu deciso che «in Europa c'è spazio solo per tre grandi compagnie» (disse l'allora commissario Ue ai trasporti, Loyola De Palacio»). Erano Air France, Lufthansa e British. Da quel momento Alitalia cominciò una serie di «cure dimagranti» che andavano a toccare rotte, aerei e personale. Ma, curiosamente, non le «spese generali» che invece levitarono fino a raggiungere quasi il 90%. Creando così il paradosso (apparente, visto che era il frutto di un disegno preciso) di una compagnia in perdita anche avendo il più basso costo del lavoro e la più alta produttività (rapporto tra dipendenti e passeggeri).Un crimine industriale denunciato per anni da alcuni dei sindacati presenti nella compagnia (non da tutti, visto il «consociativismo» che si è protratto anche negli accordi con Cai). Ma senza trovare troppo ascolto. Tutti - dirigenti spendaccioni della compagnia, ministri, opinionisti e molti giornalisti superficiali - hanno invece messo sotto accusa per anni i presunti «privilegi insopportabili dei dipendenti». Tutta una balla. Ora lo può dire addirittura il commissario liquidatore.Persino sulla liquidità disponibile non è più necessario dare numeri terrorizzanti. Ricordate quando, durante le trattative, Fantozzi continuava a ripetere che aveva «soldi sufficienti solo per pochi giorni»? Bene, ora si sa che al 30 novembre Alitalia aveva in cassa 250 milioni, 21 in più del mese precedente. Insomma: parecchi mesi di vita (anni, se nel frattempo fossero state tagliate tutte le spese generali in regime di «regalia»).Mentre si susseguono le iniziative di protesta di dipendenti non assunti nella nuova società, si mettono a punto gli ultimi dettagli. Il «closing» relativo all'acquisto anche di AirOne - compagnia privata controllata da Carlo Toto, uno dei componenti della «cordata» Cai - è stato firmato l'ultimo dell'anno. In teoria le due compagnie dovrebbero essere fuse, ma continueranno a volare con marchi differenti. Addirittura alcuni assistenti di volo ex Alitalia, assunti da Cai, sono stati re-indirizzati - previo corso di aggiornamento sui modelli di aereo non presenti nella flotta della compagnia di bandiera - su AirOne, che intanto sta liquidando i suoi numerosi precari. A Toto - che partecipa con 60 milioni «in natura» (ovvero aerei) - viene concesso di poter fare in futuro il fornitore in leasing di altri aerei Airbus, nel frattempo «opzionati» senza averne alcun bisogno industriale (AirOne aveva raggiunto un miliardo di debiti). Insomma, sarà contemporaneamente socio e fornitore della «nuova Alitalia».Il tutto senza che Cai abbia ancora ottenuto il Certificato di operatore aereo (Coa), indispensabile per poter avviare l'attività - come ormai stabilito - il 13 gennaio. Nessuna delle condizioni fissate a livello internazionale - disponibilità finanziaria per poter operare almeno tre mesi anche in caso di incassi zero, aerei e rotte sufficienti, organici - sono ancora ok. La scelta di inviare le lettere di assunzione in tempi sfalsati (probabilmente per causare sconcerto tra i dipendenti e occultare meglio l'arbitrarietà dei criteri di assunzione) potrebbe a questo punto essere un boomerang. Al momento, infatti, sarebbero solo 7.000 i «neoassunti». Ma nessuna cifra ufficiale è stata fornita.Alcuni media hanno enfatizzato «il 100% di adesioni» alle proposte di assunzione, come se ciò attestasse un consenso entusiastico rispetto al nuovo padrone e un distacco dai sindacati del «no». Nessuno aveva però «consigliato» ai lavoratori di rinunciare al posto. Ma anche questo dimostra il ferreo controllo dell'informazione intorno alla liquidazione della compagnia di bandiera."
Non e' tanto per Alitalia, delle cui sorti non mi puo' importare di meno, ma e' l'indicazione della situazione politica, economica e dell'informazione di questo Paese ad essere deprimente.
Il Manifesto di oggi riassume con precisione:
"Ormai non c'è più necessità di far finta. La vendita di Alitalia a Cai, e quindi ad Air France-Klm, è quasi ufficiale. I francesi (che da ieri hanno come nuovo amministratore delegato Henry Gourgeon, mentre Jean-Cyril Spinetta resta presidente) entreranno nella società con 310 milioni di euro. Quanto basta per prendere il 25% e quindi la posizione di «azionista di riferimento». Tempo qualche mese, con tutta probabilità, gli allegri soci della «cordata italiana» prenderanno il largo, cedendo in tutto o in parte le proprie quote nanerottole. Se il «rilancio» industriale - grazie all'esperienza dei francesi e alle sinergie che questi possono garantire - sarà andato in porto, ci guadagneranno anche qualcosina, come promesso loro da Berlusconi. In ogni caso, per un gruppo composto da costruttori edili, immobiliaristi e concessionari dello stato (Autostrade, per esempio), non mancherà il modo di essere coinvolti in altri affari a rischio zero.Non c'è più bisogno di far finta neppure sulle vere cause del fallimento della compagnia. In un'intervista all'Espresso l'attuale commissario straordinario, Augusto Fantozzi, ammette che «Alitalia pagava tutto il triplo». Dal carburante (fornito dall'Eni, altra società controllata dal Tesoro) al catering, in una spirale di favoritismi che si è non a caso ingigantita dal momento in cui - all'inizio degli anni '90 - a livello comunitario fu deciso che «in Europa c'è spazio solo per tre grandi compagnie» (disse l'allora commissario Ue ai trasporti, Loyola De Palacio»). Erano Air France, Lufthansa e British. Da quel momento Alitalia cominciò una serie di «cure dimagranti» che andavano a toccare rotte, aerei e personale. Ma, curiosamente, non le «spese generali» che invece levitarono fino a raggiungere quasi il 90%. Creando così il paradosso (apparente, visto che era il frutto di un disegno preciso) di una compagnia in perdita anche avendo il più basso costo del lavoro e la più alta produttività (rapporto tra dipendenti e passeggeri).Un crimine industriale denunciato per anni da alcuni dei sindacati presenti nella compagnia (non da tutti, visto il «consociativismo» che si è protratto anche negli accordi con Cai). Ma senza trovare troppo ascolto. Tutti - dirigenti spendaccioni della compagnia, ministri, opinionisti e molti giornalisti superficiali - hanno invece messo sotto accusa per anni i presunti «privilegi insopportabili dei dipendenti». Tutta una balla. Ora lo può dire addirittura il commissario liquidatore.Persino sulla liquidità disponibile non è più necessario dare numeri terrorizzanti. Ricordate quando, durante le trattative, Fantozzi continuava a ripetere che aveva «soldi sufficienti solo per pochi giorni»? Bene, ora si sa che al 30 novembre Alitalia aveva in cassa 250 milioni, 21 in più del mese precedente. Insomma: parecchi mesi di vita (anni, se nel frattempo fossero state tagliate tutte le spese generali in regime di «regalia»).Mentre si susseguono le iniziative di protesta di dipendenti non assunti nella nuova società, si mettono a punto gli ultimi dettagli. Il «closing» relativo all'acquisto anche di AirOne - compagnia privata controllata da Carlo Toto, uno dei componenti della «cordata» Cai - è stato firmato l'ultimo dell'anno. In teoria le due compagnie dovrebbero essere fuse, ma continueranno a volare con marchi differenti. Addirittura alcuni assistenti di volo ex Alitalia, assunti da Cai, sono stati re-indirizzati - previo corso di aggiornamento sui modelli di aereo non presenti nella flotta della compagnia di bandiera - su AirOne, che intanto sta liquidando i suoi numerosi precari. A Toto - che partecipa con 60 milioni «in natura» (ovvero aerei) - viene concesso di poter fare in futuro il fornitore in leasing di altri aerei Airbus, nel frattempo «opzionati» senza averne alcun bisogno industriale (AirOne aveva raggiunto un miliardo di debiti). Insomma, sarà contemporaneamente socio e fornitore della «nuova Alitalia».Il tutto senza che Cai abbia ancora ottenuto il Certificato di operatore aereo (Coa), indispensabile per poter avviare l'attività - come ormai stabilito - il 13 gennaio. Nessuna delle condizioni fissate a livello internazionale - disponibilità finanziaria per poter operare almeno tre mesi anche in caso di incassi zero, aerei e rotte sufficienti, organici - sono ancora ok. La scelta di inviare le lettere di assunzione in tempi sfalsati (probabilmente per causare sconcerto tra i dipendenti e occultare meglio l'arbitrarietà dei criteri di assunzione) potrebbe a questo punto essere un boomerang. Al momento, infatti, sarebbero solo 7.000 i «neoassunti». Ma nessuna cifra ufficiale è stata fornita.Alcuni media hanno enfatizzato «il 100% di adesioni» alle proposte di assunzione, come se ciò attestasse un consenso entusiastico rispetto al nuovo padrone e un distacco dai sindacati del «no». Nessuno aveva però «consigliato» ai lavoratori di rinunciare al posto. Ma anche questo dimostra il ferreo controllo dell'informazione intorno alla liquidazione della compagnia di bandiera."
Commenti