La musica nascosta


In queste ultime settimane ho ascoltato alcuni dischi diversissimi tra loro che pero' mi hanno fatto riflettere su un tratto che hanno tutti in comune, cioe' la tendenza a "nascondere" la melodia, a cercare di soffocarla o sfuggirne, a volte. Non scandalizzatevi agli accostamenti reciprocamente sacrileghi e provate a seguirmi nel discorso. Siccome mica e' da tutti conoscere di persona artisti d'avanguardia, comincio col citare i Fury N Grace e il loro Diabolism of Conversation. Qua siamo dalle parti del metal piu' pesante, di quello che si incarna di volta in volta in mille filoni di death, doom, epic, goth, symphonic e altre etichette via via piu' ridicole. Io non sono certo un esperto o un estimatore del genere, e il mio metal si ferma pressapoco agli Iron Maiden, i Deep Purple e i Metallica; sulla pagina facebook del gruppo potete trovare un po' di recensioni piu' particolareggiate delle mie poche impressioni. Diabolism of Conversation, oltre a essere un cd dal packaging lussuoso, e' un ascolto difficile (e questo solitamente e' un complimento): per quasi tutta la durata del disco si e' investiti da una batteria martellante e da una chitarra in primissimo piano spesso fino a sovrastare tutto il resto; oltre ai succitati filoni metal, appaiono qua e la' sfumature progressive o piu' melodiche, in una sovrabbondanza di idee (musicali e di testi) che lascia disorientati. Le melodie, e qua arrivo al nocciolo del mio discorso, sono sepolte (e credo che questo aggettivo sia particolarmente apprezzato in questo caso) da una mole di frastuono tale da scoraggiare l'ascoltatore meno motivato, quello cioe' che se non immediatamente soddisfatto dalla scoperta del motivetto orecchiabile (specialita' invece in cui i mostri sacri prima citati erano maestri) preferisce non avventurarsi all'interno di un tale girone dantesco e abbandona l'impresa.

Non saprei come spiegarvi in che modo trovi Diabolism of Conversation analogo a Bad as Me di Tom Waits. Tom Waits lo conosciamo tutti; per una recensione di Bad as Me basta andare su google: troverete mille articoli che si inerpicano in astrusi giri di parole per dire che, come dai tempi di Swordfishtrombones e Bone Machine, Waits continua a cantare la stessa, peraltro riuscitissima, canzone. Tom Waits e' maestro -quando vuole- a sfoderare ballate commoventi, bluesacci malfamati e numeri da chansonnier; ha pero' studiato un espediente astuto: nascondere -ecco l'analogia- le melodie non con la sovraproduzione ma al contrario spogliando le canzoni e rivestendole solo di percussioni ridotte -letteralmente- all'osso e accenni di chitarra, contrabbasso, pianoforte, oltre agli urli, ai grugniti, ai sussurri della sua voce roca. E allora i blues, le polke, i sapori latini, vengono amalgamati in questa salsa primordiale che e' il "suono" di Tom Waits, pur continuando a suggerire all'ascoltatore la loro natura originaria. Anche qui, in qualche modo, l'arrangiamento prende il sopravvento sulla melodia, sul motivetto da canticchiare, e concentra tutta l'attenzione su di se'.

L'esempio piu' estremo di questo apparente (?) rifiuto della melodia a favore degli arrangiamenti e' Biophilia di Bjork. Ho scaricato l'album nella sua versione per iPad, e lo ritengo un primo esperimento nella nuova frontiera della fruizione della musica digitale: il disco si esplora in maniera non sequenziale, ma esplorando una galassia ed "entrando" in ognuno dei brani per scoprire non solo un testo di analisi musicale e lo spartito, ma una rappresentazione grafica della musica e  un "gioco" interattivo basato sulla canzone stessa che permette di volta in volta di creare nuovi motivi o esperimenti grafici. Detto che l'aspetto grafico e' si' affascinante ma che avrebbe potuto essere, viste le tecnologie oggi a disposizione, di piu' alto livello, la musica in questione e' quanto di piu' lontano ci possa essere da una melodia orecchiabile: arpeggi lentissimi che accompagnano vocalizzi ultraterreni, percussioni e ritmica praticamente inesistenti per una serie di declamazioni fatte apposta per rendere inafferrabile qualunque sequenza o frequenza (cit.) musicale. Bjork ci chiede di concentrarci sulla grafica, sulla rappresentazione digitale della musica, fino a distaccarci completamente dalla musica stessa, che, anche qui, se c'e' e' ben nascosta.



Ora, fino a un certo punto io apprezzo questo nascondino. La canzone che ti piace subito appena la ascolti alla radio raramente sara' ancora in playlist sei mesi dopo. Gli album che al primo ascolto ti sembrano incomprensibili spesso sono quelli che si rivelano piu' affascinanti.



Pero', dicevo, fino a un certo punto. E questo m'e' risultato ancora piu' evidente riascoltando, dopo i suddetti tour de force, The Innocent Ones di Willie Nile. Questo disco non lascia niente all'immaginazione, non richiede alcuno sforzo da parte dell'ascoltatore: e', semplicemente, buon vecchio sano rock'n'roll. Strofa, ritornello e schitarrata. C'e' poco da dire sulla tecnica o sugli arrangiamenti; non c'e' da fare analisi intellettuali sui testi; non ci sono strumenti esotici o trovate tecnologiche, ma solo 11 pezzi ben riusciti da 3-4 minuti, qualche eco di Dylan, qualche eco di Springsteen, qualche ingenuita' e due o tre perle che meriterebbero ben altra fama (The Innocent Ones, One Guitar e Hear You Breathe). 



Sono approcci diversi. Fare un disco chitarra-basso-batteria come Willie Nile e' per certi versi un'operazione piu' rischiosa delle altre: non hai arrangiamenti esotici a proteggerti: se i pezzi sono scarsi, e' un disastro, non c'e' niente da fare. Se sei Tom Waits o Bjork, invece, puoi anche permetterti di infilare nel disco qualche ciofeca, ma se sei bravo a nascondino c'e' la possibilita' che non se ne accorga nessuno.

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