E' tutto scritto

Come cantava Bennato "devi leggere più libri che puoi, devi studiare / è tutto scritto, catalogato / ogni segreto, ogni peccato".
Ho finito la lettura del Secolo Breve di Eric Hobsbawm e l'ultimo capitolo, che tira le somme dei precedenti, mi ha colpito particolarmente per la capacità di sintesi dell'autore e per la sua visione completa e precisa dell'epoca che stiamo vivendo.

Come già emerso durante il libro, Hobsbawm riassume così il Novecento: ""Chi sconfigge chi?" era la massima fondamentale di Lenin: la lotta come una partita nella quale il vincitore prendeva tutto e lo sconfitto perdeva tutto. Come sappiamo, perfino gli stati liberali condussero con questo spirito entrambe le guerre mondiali [...]. Infatti divenne parte della guerra anche la criminalizzazione di intere popolazioni in base a princìpi aprioristici [...]. Questi metodi erano un esempio della perdita dei valori di progresso civile, affermati nell'Ottocento, e della rinascita della barbarie nel nostro secolo: un tema che abbiamo già esaminato e che scorre come un filo nero attraverso le pagine di questo libro." 

Venendo quindi alla descrizione dello stato in cui il mondo si trova nella nostra epoca, l'autore descriveva, quasi vent'anni fa, la situazione che noi profani possiamo iniziare a intravedere solo adesso: "Lo strumento più importante usato nell'Età dell'oro, cioè la politica direttiva dello stato, coordinata a livello nazionale o internazionale, non funziona più. I Decenni di crisi hanno segnato la perdita del potere economico da parte dello stato nazionale. Tutto ciò non fu immediatamente ovvio, perché, come al solito, la maggior parte dei politici, degli economisti e degli imprenditori non ha saputo riconoscere dentro la congiuntura economica i cambiamenti permanenti. La linea politica della maggior parte dei governi e degli stati durante gli anni '70 si basò sul presupposto che le difficoltà economiche fossero solo temporanee." Se pensiamo alla crisi dell'area Euro di questi ultimi anni, e agli stati sull'orlo del fallimento, è particolarmente deprimente pensare che non solo i governi degli anni '70 non fecero nulla per prepararsi alla crisi, ma che nemmeno dopo gli avvertimenti espliciti contenuti in questo libro si evitò di guardare in faccia la realtà. Abbiamo aspettato che lo sfascio fosse completo, per iniziare a invocare riforme e austerità.
E, come ora è sotto agli occhi di tutti, non furono solo i governi ad essere negligenti e impreparati: "Quando l'economia transnazionale stabilì la sua presa sul mondo, essa pregiudicò il funzionamento di una importante istituzione, estesasi dopo il 1945 a livello universale: lo stato nazionale territoriale [...]. Perciò organizzazioni il cui campo d'azione era vincolato effettivamente alle frontiere nazionali, come i sindacati, i parlamenti e le reti pubbliche nazionali di comunicazione televisiva e radiofonica, persero importanza, mentre ne guadagnarono organizzazioni non vincolate al territorio nazionale, come le aziende multinazionali, il mercato valutario internazionale, i sistemi di comunicazione a livello mondiale con collegamento via satellite."

Nel 1994, Hobsbawm fotografava già con precisione le evoluzioni politiche che si sono poi estese a macchia d'olio, prima fra tutte quella della nascita di partiti e movimenti "identitari", da quelli guerrafondai dell'ex Jugoslavia a quelli più "morbidi" come la Lega Nord in Italia, inizialmente visti come la risposta alla crisi dei partiti tradizionali, ma che in realtà di quella crisi erano semplicemente il frutto. "L'elemento che accomuna le politiche di identità etnica e il nazionalismo etnico, ricomparso in questi ultimi anni di fine secolo, è l'insistenza che l'identità di gruppo consista in alcune caratteristiche esistenziali, che si suppongono primordiali, immodificabili e perciò permanenti e personali, condivise con gli altri membri del grupo e con nessun altro. L'esclusività diventa ancor più essenziale per queste politiche di identità, poiché le differenze effettive che distinguono le comunità umane si sono attenuate. [...] Proprio la fluidità delle caratteristiche etniche nelle società urbane fa sì che la scelta del criterio etnico, come il solo che identifichi l'appartenenza a un gruppo, sia arbitraria e artificiosa. [...] La tragedia di queste politiche esclusiviste dell'identità, a prescindere dal fatto che intendano costituire stati indipendenti, è che non possono funzionare. Possono solo fingere di avere una qualche efficacia. [...] La politica dell'identità e il nazionalismo di fine secolo non sono perciò programmi, e ancor meno sono programmi efficaci, per affrontare i problemi della fine del ventesimo secolo, ma sono piuttosto reazioni emotive a questi problemi."

In alcuni brani del libro sembra di leggere analisi scritte stamattina: "Il mondo che entra nel terzo millennio non è un mondo di stati o di società stabili. Anche se è quasi certo che il mondo, o almeno gran parte di esso, sarà scosso da mutamenti violenti, la natura di questi mutamenti resta oscura. Alla fine del Secolo breve il mondo si trova in uno stato di crollo sociale piuttosto che di crisi rivoluzionaria [...]. Oggi però uno scontento verso lo status quo focalizzato in senso rivoluzionario è meno comune di quanto lo siano il rifiuto generico della condizione presente, l'assenza di partecipazione alla vita politica o la sfiducia verso le organizzazioni politiche, o semplicemente un processo di disintegrazione al quale le politiche statali interne e internazionali si adattano al meglio delle loro possibilità."

Parlando dei regimi totalitari, ci si imbatte poi in affermazioni particolarmente calzanti alla situazione italiana di questi tempi: "in assenza di un vero dibattito politico e della libertà di stampa, gli artisti erano i soli che si facevano portavoce delle idee e dei sentimenti del popolo, o almeno delle persone colte."


E ancora, con grande lucidità, sui movimenti "fondamentalisti" o "estremisti" a sfondo religioso: "L'attrattiva di una religione politicizzata è diventata ancora più forte perché le vecchie religioni sono, quasi per definizione, nemiche della civiltà occidentale, responsabile dello sconvolgimento delle società tradizionali, nonché dei paesi ricchi e atei, che sempre più appaiono come gli sfruttatori dei paesi poveri. Il fatto che i bersagli locali di questi movimenti siano i ricchi occidentalizzati in Mercedes e le donne emancipate aggiunge alla loro azione un tocco di lotta di classe. Essi sono conosciuti in Occidente sotto la definizione fuorviate di "fondamentalismo". Prescindendo dalla moda delle denominazioni, ciò che conta è che questi movimenti guardano indietro, per così dire ex officio, a un'età più semplice, più stabile e più comprensibile, quale si immagina fosse quella del passato. Poiché non c'è alcuna strada per tornare indietro a quest'epoca e poiché queste ideologie non hanno nulla da dire di rilevante circa i problemi attuali di società profondamente diverse da quelle, per esempio, dei pastori nomadi dell'antico Medio Oriente, esse non offrono alcuna guida per la risoluzione di quei problemi. I movimenti fondamentalisti sono sintomi di "quella malattia di cui pretendono di essere la cura", per usare la definizione che dava il viennese Karl Kraus della psicoanalisi." 
E, in generale, riguardo i nuovi movimenti politici sorti sulle macerie della crisi: "Il maggior vantaggio di queste nuove forze è probabilmente la loro impermeabilità alle teorie economiche accademiche e alla retorica antistatale di un liberismo identificato col libero mercato. Se la politica esigerà che venga di nuovo nazionalizzata un'industria, questi nuovi movimenti politici non si faranno persuadere del contrario da argomenti teorici, soprattutto quando non possono comprenderli. E tuttavia, anche se sono pronti a fare qualunque cosa, come chiunque altro non sanno che cosa si debba fare."


Per quanto riguarda la situazione delle arti e della cultura, allo sguardo dello storico non sfugge l'epocale cambiamento di prospettiva avvenuto in questo secolo breve: "fattori importanti hanno minato l'alta cultura in senso classico. Il primo è stato il trionfo universale della società dei consumi di massa. Dopo il 1960 le immagini che accompagnano gli esseri umani nel mondo occidentale [...] dalla nascita alla morte sono quelle che pubblicizzano o rappresentano il consumo di qualche prodotto oppure quelle dedicate all'intrattenimento commerciale di massa. I suoni che accompagnano la vita in città, dentro e fuori casa, sono quelli della musica popolare commerciale. [...] Tranne che con riferimento ai romanzi di intrattenimento leggero [...], la gente che legge libri seriamente per scopi che non siano professionali, scolastici o di apprendimento è una minoranza esigua. [...] Le parole che dominano la società dei consumi in Occidente non sono più le parole della Bibbia e tanto meno quelle di scrittori laici, ma i marchi di beni di consumo o di qualunque prodotto vendibile. Quei marchi vengono stampati sulle magliette o su altri indumenti come magici incantesimi, in virtù dei quali chi li indossa acquisisce il merito spirituale di appartenere allo stile di vita (generalmente giovanile) che quei nomi simbolizzano e promettono."

"Per quanto ne possiamo sapere, il ruolo o perfino la sopravvivenza nel ventunesimo secolo delle arti, oggi ancora vive, restano oscuri".

Il nostro secolo è stato sconvolto dal progresso scientifico e tecnologico, come nel brano di Max Planck (del 1933) citato da Hobsbawm: "Stiamo vivendo in un momento davvero singolare della storia. E' un momento di crisi nel senso letterale. In ogni campo della nostra civiltà spirituale e materiale ci sembra di essere giunti a una svolta critica. Questa sensazione si manifesta non solo nello stato effettivo degli affari pubblici, ma anche nell'attitudine generale verso valori fondamentali nella vita personale e sociale [...] Ormai gli iconoclasti hanno invaso il tempio della scienza. Non c'è qualche assioma scientifico che non sia oggidì negato da qualcuno. E allo stesso tempo quasi ogni assurda teoria può quasi certamente trovare seguaci e discepoli da qualche parte".
La scienza e la tecnologia hanno quindi permeato la nostra esistenza in tal modo da non permetterci nemmeno di renderci conto di quanto l'abbiano stravolta, se confrontata coi parametri di solo ottant'anni fa: "Le casse di un supermarket degli anni '90 esemplificano questa eliminazione dell'elemento umano. [...] La procedura che rende possibile tutti questi passaggi è estremamente complessa e si basa su una combinazione di macchine estremamente sofisticate e di un programa molto elaborato. Tuttavia, a meno che o fino a che qualcosa non funzioni, questi miracoli della tecnologia scientifica di fine secolo non richiedono dagli operatori altro che la capacità di riconoscere i numeri cardinali, un'attenzione minima e una buona sopportazione della noia. Non è più richiesta neppure la capacità di leggere e scrivere. Per quanto riguarda la maggior parte degli operatori, le forze tecnologiche occulte che comunicano loro di informare il cliente sul prezzo da pagare e che li istruiscono sul resto da porgere sono tanto irrilevanti quanto incomprensibili. Per eseguire quelle operazioni non devono capire nulla di queste forze. [...] Praticamente la situazione dell'operatore di cassa in un supermarket rappresenta la norma per l'essere umano alla fine del nostro secolo."

Come peraltro a diversi altri autori che ho letto (ma non ancora ai mass media, manovrati da forze più potenti), a Hobsbawm non sfugge che "i due problemi centrali e determinanti nel lungo periodo sono quello demografico e quello ecologico. In genere si prevede che la popolazione mondiale [...] possa stabilizzarsi all'incirca verso il 2030 nell'ordine di dieci miliardi di esseri umani [...]. Se questa previsione dovesse rivelarsi sbagliata, tutte le scommesse sul futuro saranno perse."
Ed è chiaro anche quali siano le potenti forze che hanno esercitato ed esercitano tuttora questa spinta verso la catastrofe ecologica: "...e questo è il terzo aspetto preoccupante dell'economia mondiale alla fine del secolo, il trionfo della sua dimensione mondiale e quello di una ideologia liberista pura hanno indebolito o perfino rimosso quasi tutti gli strumenti che servivano a gestire gli effetti sociali degli sconvolgimenti economici. Ci chiediamo se sia possibile sottoporla a controllo e, in caso affermativo, da parte di chi."

"Qualunque sia la natura di questi problemi, un'economia di libero mercato senza restrizioni nè controllo non può offrire alcuna soluzione a essi, Se mai, non può che peggiorare fenomeni come la crescita di una disoccupazione o di una sottoccupazione permanenti, dal momento che la scelta razionale delle imrese orientate al profitto è: a) ridurre il più possibile il numero dei dipendenti, visto che gli esseri umani sono più costosi dei computer; b) ridurre il più possibile tutte le tasse per la sicurezza sociale e ogni tassa in generale. Non c'è alcuna buona ragione per supporre che un'economia mondiale di libero mercato possa risolvere questi problemi. Fino agli anni '70 il capitalismo mondiale non aveva mai operato in condizioni di libero mercato allo stato puro, e, qualora tali condizioni fossero preseti, non ne aveva necessariamente tratto beneficio. [...] Quanto al ventesimo secolo, i suoi miracoli economici non vennero ottenuti con il laissez-faire, ma contro di esso."

"Senza qualche redistribuzione e ripartizione del reddito nazionale da parte dello stato che cosa accadrà, per esempio, alle popolazioni dei vecchi paesi sviluppati, la cui economia si basa su una quota relativamente sempre più ristretta di percettori di reddito, mentre cresce il numero delle persone estromesse dal ciclo produttivo a causa delle alte tecnologie e aumenta anche la proporzione dei poveri che non hanno un reddito sufficiente? [...] per garantire questi obiettivi è necessario lo stato. [...] Chi, se non l'autorità pubblica, vorrebbe e potrebbe assicurare un minimo di reddito e di benessere per tutti? Chi potrebbe contrastare le tendenze all'ineguaglianza, che sono così vistose e impressionanti nei Decenni di crisi? Non certo il libero mercato, a giudicare dall'esperienza degli anni '70 e '80. Se questi decenni dimostrano qualcosa, essi dimostrano che il problema politico più importante a livello mondiale, certamente nel mondo sviluppato, non è come moltiplicare la ricchezza delle nazioni, ma come distribuirla a beneficio dei cittadini."

La grande qualità di libri di questo tipo, secondo me, è quella di poter ritrovare, all'interno di analisi macropolitiche, osservazioni che calzano perfettamente -in maniera inquietanti, visto che sono state scritte vent'anni fa- le singole situazioni "microscopiche", come ad esempio quella italiana attuale: "Ogni osservatore serio sa che molte dele decisioni politiche che dovranno essere prese all'inizio del ventunesimo secolo saranno impopolari. [...] Se le elezioni a suffragio universale rimarranno la norma - com'è probabile -  sembra che ci siano due opzioni principali. Quando la procedura decisionale non è già presa al di fuori del contesto politico, sempre più essa dovrà scavalcare il processo elettorale, o meglio eludere i condizionamenti costanti che da esso derivano sull'attività di governo. [...] L'altra opzione è di ricreare quel tipo di consenso che permette alle autorità di agire in sostanziale libertà, almeno finché il grosso dei cittadini non ha motivi seri per essere scontento. [...] un modello politico tradizionale per quest'ultima soluzione [...] consiste nella elezione democratica di un salvatore del popolo o di un regime che salvi la nazione: in altre parole, nella "democrazia plebiscitaria". [...] Ma certo questo modello non offre prospettive incoraggianti per il futuro della democrazia parlamentare di tipo liberale."


"Il mondo rischia sia l'esplosione che l'implosione. Il mondo deve cambiare. Non sappiamo dove stiamo andando. [...] Comunque, una cosa è chiara. Se l'umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l'alternativa a una società mutata, è il buio."





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