Negli ultimi giorni sto riascoltando a ripetizione "Album Concerto", la registrazione, del 1979, dei pezzi eseguiti da Francesco Guccini e i Nomadi al Kiwi di Modena e al Club 77 di Pavana: solo nove canzoni per quello che avrebbe potuto essere un tour storico nel panorama della musica italiana, qualcosa, per intenderci, destinato a entrare nel "canone" a fianco dell'accoppiata De Andrè/PFM. Purtroppo non andò così: la PFM non aveva un frontman in gradi di insidiare De Andrè, mentre evidentemente fu impossibile tenere insieme Guccini e Daolio.
I suoni del disco appaiono "datati" sia per le modalità di esecuzione (la batteria di Paolo Lancellotti, a volte un po' sopra le righe) che per la registrazione (le tastiere di Beppe Carletti a volte sembrano arrivare dalla stanza a fianco) ma, misteriosamente, mi tengono agganciato all'ascolto, alla scoperta ogni volta di un nuovo piccolo particolare che non avevo notato prima. Il suono di "Album Concerto" è una boccata d'aria fresca a confronto con le iperproduzioni rock odierne a base di strumenti ultracompressi e voci registrate così fedelmente che senti persino il rumore di quando il cantante prende fiato per iniziare la strofa: "Album Concerto" non cerca questo hyper-fidelity di suono, in primo luogo perché ai tempi quello era ciò che la strumentazione di Umbi Maggi poteva raggiungere e poi perché, quando sei lì sotto il palco, il concerto non ti trasmette "hi-fi", ma emozioni. "Album Concerto" ha il grande merito di riportare, in questo senso "fedelmente", l'immagine di quello spilungone di Guccini piantato lì sul palco a declamare i suoi versi, con a fianco Daolio che si agita, si piega, scherza e guarda in giro, alle spalle Jimmy Villotti e Flaco Biondini (mica i primi che passavano per strada) che lavorano sapientemente le loro chitarre, Lancellotti che si crede Bonzo Bonham (ma nei '70 tutti i batteristi si credevano Bonham, o Keith Moon), e tutti gli altri. Se il mio orecchio decide di seguire il basso di Umbi Maggi o le tastiere di Beppe Carletti, può farlo, anche quando il violino di Chris Dennis sembra sovrastare tutti, e questo grazie a questa registrazione certo non perfetta, ma chiara, a suo modo pulita e, come dicevo, "fedele" a quello che è un concerto dal vivo.
Le voci di Guccini e Daolio possono piacere o non piacere. Guccini, beh... Guccini già ai tempi ogni tanto scivolava nell'imitazione di sè stesso, con quella erre arrotata e quell'accento marcato; molti non sopportano la voce spesso chioccia di Augusto Daolio; ma a mio parere l'accoppiata funziona benissimo e la cadenza da chansonnier di Guccini viene ben bilanciata dall'approccio più "rock" di Daolio, che esibisce una notevole varietà di sfumature e stili sia quando fa da seconda voce che da solista. La cosa che più mi colpisce è la chiarezza dell'interpretazione, la possibilità, oggi merce rarissima, di capire ogni singola parola del cantato per valorizzare al meglio i testi magistrali di alcuni capolavori di Guccini, come Noi non ci saremo o Dio è morto. Guccini e Daolio, poi, sono intonati (Daolio più di Guccini, a mio parere), altra cosa ormai rara, e si sente che la loro interpretazione è stata studiata e preparata a dovere per offrire un'esecuzione "viva" ma curata nei particolari, "rock" senza essere casinara.
I testi di Guccini meriterebbero un posto nelle antologie della letteratura italiana, e non starò qui a dilungarmi sulle costruzioni perfette che sono L'Atomica cinese, Noi non ci saremo, Primavera di Praga, Dio è morto, o Auschwitz. Dico solo che a mio parere, per tornare al paragone iniziale con De Andrè + PFM, l'approccio rock dei Nomadi e soprattutto la voce di Daolio arricchiscono più efficacemente i testi di Guccini di quanto il background prog della PFM abbia fatto con quelli di De Andrè. Apice di questa magica commistione è, a mio modestissimo parere, l'interpretazione di Asia contenuta nel live dei Nomadi Like a sea never dies.
"Album Concerto" oggi contiene anche un DVD con le immagini -pessime- riprese dalla RAI per uno special televisivo, e mostra le stesse canzoni del CD. Anche così, però, con queste insensate riprese del pubblico mentre Guccini canta o spezzoni montati alla bell'e meglio, possiamo ritornare a quelle sere del 1979 e vivere quel concerto con una fedeltà maggiore di quella che tante delle produzioni miliardarie odierne riusciranno mai a raggiungere.
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