Milano in macchina una sera che piove (4 concerti)

Ad Agosto pare che vadano in ferie anche i concerti; a Luglio ero in ferie io; ma a Maggio-Giugno qualche bel concerto me lo sono visto. Cominciando dall'ultimo, il 13 Giugno ho visto per la prima volta Davide Van Desfroos dal vivo, nella splendida cornice di una delle innumerevoli venues di classe che Milano offre appositamente per la musica leggera: l'Ippodromo. L'apertura della serata è stata disgraziatamente affidata a uno di quei gruppi che fino al giorno prima dell'uscita di Il Complesso Del Primo Maggio di Elio E Le Storie Tese potevano ancora presentarsi in pubblico senza essere irrimediabilmente ridicoli: "E poi arriva il complesso che valorizza il territorio / impara quattro accordi ci costruisce un repertorio / e senza motivo c’è un percussionista ghanese / che è stato ricollocato in un complesso pugliese / E all’improvviso parte una canzone tipo Van de Sfroos". Il complesso era lombardo, e il percussionista era italiano anche lui, con la sola aggiunta di un'immotivata cascata di dreadlocks (oltre ovviamente alla sua stessa immotivata presenza, e all'immotivata presenza di -se ben ricordo- quattro chitarre acustiche, e all'immotivata presenza del gruppo in generale -di cui taceremo il nome, nonostante sia indelebilmente impresso nella mia memoria- e all'immotivata esecuzione del Mazzolin Di Fiori e della Società Dei Magnaccioni). 
Comunque, insomma, dopo una sequenza apparentemente interminabile di canzoni tipovandesfroos propinateci dai suddetti malcapitati in mezzo ai turbini di polvere che il popolo di vandesfrosofili sollevava danzando entusiasta, fortunatamente la situazione è migliorata con l'arrivo del Bernasconi, anche se, ovviamente, dopo i canti da osteria avrebbe fatto bella figura praticamente chiunque. Van De Sfroos non mi ha entusiasmato: francamente l'uso del dialetto mi pare un po' artificioso, un dialetto parlato da chi è madrelingua Italiano e si sforza -opera benemerita, eh!- di mantenere in vita dei suoni che però, a mio modesto parere, sono destinati a scomparire, non importa quante canzoni tipovandesfroos continueranno ad essere incise. Il VDS ha anche peccato, a mio parere, di eccessiva freddezza e rigidità, snocciolando la sua scaletta impassibile mentre sul pubblico presente si alternavano acquazzoni e brevi schiarite. Se il pubblico si sta prendendo le secchiate d'acqua per ascoltarti, per come la vedo io, i pezzi lenti li metti un attimo da parte, attacchi I Fought The Law o qualunque pezzo un po' grintoso e ti butti in mezzo alla folla a prenderti l'acqua pure tu. Il VDS no, lui continua imperterrito sul suo sgabello. I fan, comunque, sono in estasi e nulla li turba. Gli altri (leggi: il sottoscritto) cercano riparo sotto le tribune e hanno occasione anche di riflettere sul fatto che condizioni del genere (concerti all'aperto sotto i temporali) sono tristemente la norma qua da noi. E dico tristemente soprattutto perché ormai gran parte del pubblico sembra accettare la cosa come nemmeno degna di menzione. Sarà. A me sembra follia.

La serata parzialmente bagnata all'Ippodromo, però, è stata nulla al confronto del 29 Maggio al Carroponte di Sesto San Giovanni. Si esibiva Loredana Bertè, che nonostante a quanto mi viene riferito sia ormai ufficialmente e unanimemente classificata tra gli zimbelli televisivi più ridicoli, ha pur sempre in serbo uno dei repertori più tosti di tutto il panorama della musica italiana, e per quanto mi riguarda, con quella voce lì, se rimessa opportunamente in forma, val la pena di andarla ad ascoltare anche se cantasse l'elenco del telefono. Per chi non lo conosce, il Carroponte è un'altra delle suddette location di classe, dove, in aggiunta, per qualche imperscrutabile ragione ultimamente fa anche molto figo presenziare. Trattasi di uno spiazzo di cemento. Fine. A fianco di un capannone. Sormontato da un'inutile infrastruttura di piloni d'acciaio, relitti del passato industriale della zona. Insomma, l'ideale per gustarsi un nubifragio.

A essere stati previdenti, ci si sarebbe potuti attrezzare meglio, in quanto il diluvio era ampiamente previsto. A essere stati onesti, proprio per quello il concerto si sarebbe potuto annullare, e procedere al rimborso dei biglietti. A essere stati professionali, si sarebbe potuto allestire qualche riparo per le migliaia di persone che (sorprendentemente per me) erano davanti al palco. A essere stati onesti, quando l'alluvione ha costretto la band a interrompere l'esibizione dopo poco meno di un'ora (di cui un buon venti minuti comunque sotto l'acqua battente), si sarebbe potuto rimborsare almeno parte del costo del biglietto. E invece no, acqua a catinelle, gente che si rifugia accalcandosi sotto i pochi tendoni presenti -sconsigliato a chi non ama stare pigiati in 100 in venti metri quadri- interruzione del concerto, porte aperte, pubblico che sfolla con la coda tra le gambe sotto la pioggia ovviamente in direzione opposta alle casse, giusto per dissuadere ogni pensiero impuro di rimborso o lamentela. Vai a ritrovare l'auto, sotto il temporale, uscendo a un chilometro di distanza da dove sei entrato, spogliati in auto, riscaldamento a palla e torna a casa.
Intermezzo: all'entrata, un gruppetto di bagarini importuna le persone in coda alla cassa: "vendo vendo compro compro"; arriva un tale, saluta calorosamente il capobagarino, si scambiano qualche battuta, si fanno una risata, si abbracciano, e il tale entra in cassa a controllare la vendita dei biglietti. Fine intermezzo.
Comunque, in meno di un'oretta, senza nemmeno sfoderare gran parte dei suoi classici più noti, la Berté ha fatto un gran concerto. Highlight dell'esibizione, per quanto mi riguarda e in ordine crescente di efficacia, Strade Di Fuoco (un brano relativamente recente), Una Sera Che Piove (grande pezzo di Bernardo Lanzetti) e la magistrale versione di Ragazzo Mio di Luigi Tenco preparata per lei da Ivano Fossati.
Intermezzo: a mio modestissimo parere, il repertorio di Tenco è stato massacrato dagli arrangiamenti con cui fu proposto originariamente, mentre invece decine di versioni successive gli hanno restituito il prestigio che merita. Fine intermezzo.


Tre giorni dopo la Berté suonavano al Live Club di Trezzo Sull'Adda i Bad Religion. Il Live sta al Carroponte come La Scala sta a Piazza Della Scala. Nonostante sia anch'esso poco più di un capannone, è dotato di alcuni optional a me particolarmente graditi, primo fra tutti un tetto, ma anche un piccolo spazio leggermente rialzato a fondo sala dove possono godersi lo spettacolo quelli come me che si sentirebbero un po' ridicoli ad andare a pogare sotto il palco. Anche il parcheggio non è abbondante ma c'è, contrariamente alle due location suddette, dove lo spazio per le auto è gentilmente offerto dalla cittadinanza abitante nelle vie limitrofe. Essendo completamente fuori target d'età (nonostante sul palco non ci fossero certo dei teenager), abbiamo saltato il gruppo di supporto e il dj set post concerto, per concentrarci sui 90 minuti sparati a tutta potenza dal professor Greg Graffin e compari. Un'ora e mezza di schitarrate, cori e gente che vola sopra la folla. Aria fresca, bravi tutti. Peccato solo per il merchandising un po' sfigato.

Il premio Rocker Del Mese va al bassista dei Bad Religion che si lamentava del caldo ma non si è mai levato il chiodo. Ciao, eroe.

Si può essere dinosauri del rock in modi diversi: uno è quello dei Bad Religion, un'altro è quello dei Television. E si può essere un capannone in modi diversi: uno è quello del Live di Trezzo, un'altro è quello dell'orrendo Alcatraz di Milano, dove i suddetti Television si sono esibiti il 3 Giugno. Non saprei spiegare perché, nonostante siano locali abbastanza simili, il Live mi sembra molto meglio dell'Alcatraz, che invece odio con tutto il cuore. L'Alcatraz è sempre strapieno; all'Alcatraz vedi sempre male; all'Alcatraz, il bar è irraggiungibile; all'Alcatraz fai sempre la coda; all'Alcatraz c'è quasi sempre qualcuno che si ostina a fumare. I Television erano lì per suonare per intero il loro album Marquee Moon, del 1977. La serata non è partita bene, col locale a servizio ridotto vista la scarsa affluenza di pubblico, e un inizio -See No Evil- ancora più spiazzante che sul disco, perché trovarsi davanti Tom Verlaine e la sua voce strozzata, per di più accompagnata da un gruppo di musicisti che ci ha messo più di qualche minuto a trovare la marcia giusta, ha brutalmente presentato a tutti i quarant'anni passati da quando i Television furoreggiavano al CBGB, dove a quei tempi si inventavano musiche nuove ogni sera. Con un po' di fatica, comunque, la serata è decollata e i Television sono riusciti a riportare in vita un po' di quella atmosfera originaria, di quell'immaginario fatto di strade sporche e malfamate che conducevano ai locali angusti e bui dove si incrociavano Patti Smith, Bruce Springsteen, i Ramones, i Blondie, i nascenti Talking Heads, i New York Dolls, i Dictators, i Suicide, e tanti altri che hanno fatto la storia della musica rock. Erano tanti gli ultracinquantenni ad ascoltare i Television all'Alcatraz, e qualcuno ha avuto anche l'onestà di ammettere che quello era un concerto a cui si doveva andare, per poter dire, anche se con quarant'anni di ritardo, io c'ero, io c'ero e in certi momenti mi sono anche annoiato a morte, ma io c'ero e in certi momenti invece ero a Manhattan a due passi dal palco del CBGB e ho visto un pezzo di storia della musica rock, dal vivo.

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