Oggi ho letto un articolo che, sebbene io non sia certo un economista, commenta un libro che a quanto pare dice cose che così a naso condivido.
Ne copio qualche brano: "Secondo i pensatori tedeschi non ci troviamo di fronte ad una crisi temporanea né ciclica, bensì ad una definitiva [...]. La cosiddetta «economia reale», a causa di una iperproduttività tecnologica deterninata da quella che Krisis chiama la «rivoluzione microelettronica» (la terza rivoluzione industriale), non è più in grado di valorizzare e rendere redditizi i propri prodotti, espellendo forza-lavoro in gran quantità. La causa della crisi non va quindi imputata a «cattivi» banchieri o a speculatori finanziari ma al malfunzionamento di tutto un sistema, quello capitalistico, che sta per raggiungere i suoi limiti vitali. [...] L’utilizzo del capitale fittizio non fa altro che creare continui rinvii della crisi strutturale della riproduzione capitalistica. La politica, poi, non può certo fermare questo meccanismo di crisi, poiché non può toccare la logica funzionale del capitalismo; anzi, essa semmai contribuisce a portare le contraddizioni del processo di crisi a livelli più alti: «mentre la massa di capitale fittizio cresce in modo esponenziale – scrive Trenkle – aumenta, con ogni fase di rinvio della crisi, la pressione sulla società e sulla gran massa della popolazione, che si trova costretta a vendersi in condizioni sempre più precarie»." In altre parole, per come l'ho capita io, il capitalismo si basa sullo sfruttamento sempre più intensivo delle risorse umane ed estensivo di quelle naturali per sopperire alla continua diminuzione dell'occupazione, del valore dei beni prodotti (cioè del prezzo a cui possono essere venduti) e quindi dei salari. Ovviamente, questo sistema non può che portare al disastro ecologico, di cui la "crisi" non è che uno dei sintomi.
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