Spesso penso che lo sdegno e le polemiche immancabili in occasione delle periodiche alluvioni a Genova e in Liguria in generale siano, oltre che sempre più deboli, troppo vaghi e malposti. In prima battuta si cerca un capro espiatorio inoffensivo: il costruttore camorrista senza più amici da tempo, l'impresa forestiera che non ha fatto i lavori, l'impiegato delle poste che non ha inoltrato la raccomandata, e simili; se la manovra non funziona, si passa alle accuse vaghe: è colpa del sindaco, che dice no, è colpa della regione, che dice no, è colpa dello Stato, che dice no, è colpa dell'Unione Europea o dei cinesi o dei marziani. E quindi ovviamente la cosa finisce in nulla e se qualcuno c'ha rimesso la pelle, pazienza.
Io vorrei proporre un'altra chiave di lettura, tramite un esempio.
La foto qui sopra mostra la collina dove vengo a svernare un mese all'anno da un po' di tempo. Fino a non molte decine di anni fa, era tutta una pineta (di cui rimane un piccolo ciuffo, in cima) appartenente ai padroni dell'unica casa presente, quella rosa in cima nel circoletto verde. Poi il terreno è stato venduto a lotti più piccoli e sono sorte le quattro case cerchiate in arancione. La minuscola stradina è rimasta la stessa, come anche i canali di scolo dell'acqua. I pini sono stati sostituiti da olivi e agrumi. Dal 2011, quando abbiamo iniziato a venire qui, sono sorte due ulteriori case, quelle cerchiate in rosso. Tralasciamo le case sorte a valle.
Poi possiamo dare la colpa del dissesto idrogeologico e dei disastri ecologici al piano regolatore, alla giunta, al babau o al global warming, ma per come la vedo io, la colpa è di chi ha costruito. Di chi ha scelto, nel pieno possesso delle proprie (ridotte e ottuse) facoltà mentali, di mettere in moto la betoniera e aggiungere un altro po' di cemento sopra questa collina e mille altre come questa. E' comodo dare la colpa a questo o quel condono che ha permesso di aumentare le volumetrie, ampliare, rovinare, stuprare la natura. Bastava non costruire.
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