Oggi ho letto questo articolo che condivido in toto. Dice, riassumendo estremamente, che si stava meglio quando si stava peggio, cioè quando non c'era Internet e non si poteva, come oggi, ascoltare tonnellate di musica da ogni parte del mondo con un semplice click. Si stava meglio perché "l'industria discografica creava i dischi di successo e creava le star, perché era gente che ne capiva qualcosa", mentre oggi "Internet permette a chiunque con un computer, un kazoo e una chitarra scordata di inondare il mercato, non importa quanto orribile o semplicemente non pronta quella musica fosse".
Ovviamente, messa così, sembra la solita lamentela para-luddista, ma ovviamente stiamo facendo una semplificazione, ed è meglio leggersi tutto l'articolo.
Però tutti dovrebbero riflettere un pochino almeno sulla conclusione: "Non dissuaderei mai alcun musicista, per quanto in erba, dal fare musica. Ma lo scoraggerei fortemente la gran parte di essi dal pubblicare musica solo perché si può fare. Sembra uno schiaffo alla faccia di quelli realmente dotati di talento e meritevoli, tutto solo grazie a un tecnicismo chiamato Internet". Ecco, la morale mi sembra molto chiara e condivisibile, e andrebbe naturalmente applicata a tutto il materiale reso pubblico tramite Internet: solo perché si può, non vuol dire che si debba. Si può pubblicare il proprio romanzo, si può scrivere il proprio blog, si possono scattare le proprie foto, ma non è mica obbligatorio buttarle in faccia a tutto il mondo, pretendendo di finire nello stesso mazzo degli scrittori, dei giornalisti, dei fotografi.
Internet, e soprattutto i sedicenti social network, mi ricorda sempre l'assemblea di condominio: quel posto dove ogni cretino, siccome ha diritto di partecipare, si sente in dovere di esprimere la propria opinione su tutto lo scibile, che ne abbia titolo o meno.
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