Ormai non si può più dare del razzista a nessuno, perché c'è sempre qualche distinguo, qualche "però", qualche giustificazione inoppugnabile per l'intolleranza verso il prossimo. Magari "razzismo" non è nemmeno la parola giusta per descrivere quel sentimento di rifiuto verso il prossimo sentito da una rumorosa parte di italiani. Però io il razzismo so cos'è.
Il razzismo è la cassiera del supermercato che ieri faceva il terzo grado a un musulmano circa il Ramadan: "ma quand'è che finisce questa roba qua del ramamdam?". Il razzismo è la mancanza di rispetto di dare a tutti del lei tranne a chi ha il colore della pelle diverso dal tuo, a cui puoi dare del tu. Il razzismo è quando la signora che sta mettendo via la sua spesa fa notare alla cassiera che "anche i cristiani in quaresima dovrebbero fare digiuno, è che loro sono più osservanti di noi", e la cassiera ovviamente guarda il dito e non la luna e si mette a sciorinare le sue personalissime e cattolicissime regole: "eh ma lì è il venerdì niente carne"... A me viene in mente che in Italia nemmeno i preti digiunano in Quaresima, la signora raccoglie le borse e se ne va.
Il razzismo è cercare la cattiveria anche dove non c'è, perché il razzista è malizioso e disonesto e cerca di trovare quei difetti nel prossimo per creare un nemico e potersi quindi assolvere: "eh ma la fate fare anche ai bambini questa roba qua?" - "no, i bambini no." - "e le donne incinte?" - "no le donne incinte no" - "e come fate a lavorare?" - "se uno è malato o sta male, può mangiare". Oh, non c'è niente da fare: il razzista non può averla vinta quando fa l'errore di parlare col suo prossimo. E' per questo che il razzista preferisce il comizio al dialogo.
Il pachistano se ne va via con il suo latte e le uova, e la cassiera può scatenarsi con me: "eh poi è chiaro che vanno fuori di testa e fanno gli attentati" - "boh mi sembra che se uno digiuna dalle 5 alle 21 non ce lo vedo tanto a fare gli attentati".
Il razzista, quando non trova sostegno nemmeno tra quelli uguali a lui, si rifugia quindi nelle asserzioni inconfutabili, in cui un'amica di una cugina che lavora in ginecologia le ha detto che "una di quelle lì" aveva appena partorito l'ennesimo figlio a soli 25 anni e la cugina che lavora in ginecologia le aveva detto che era un peccato fare così tanti figli da giovane, e "quella lì" le aveva risposto che lei faceva tanti figli perché così poi da grandi avrebbero ucciso i "nostri" di figli. Il razzista usa le leggende metropolitane perché non ha altro modo per esprimere il suo odio, che nasce dalla sua ignoranza e dalla sua cattiveria, non dalla cattiveria altrui. Per il razzista è normale dire "a quelli là" quanti figli fare.
Il razzista è quello che mugugna grugniti incomprensibili quando gli fai notare che suo nonno probabilmente aveva dieci fratelli o che i ricchi iscritti a Comunione e Liberazione fanno più figli degli immigrati egiziani.
C'era un'altra signora dietro di me, e poi tre cinesi. Razzismo è rifiutare la realtà, e la realtà è che la società multietnica è qui e ora, e che dovrebbe sembrarci una ricchezza e non una minaccia. Razzismo è proiettare i propri difetti su chi è diverso: "...e parlano sempre a voce alta!" Razzismo è non riuscire a comprendere il concetto che tu sarai sempre il terrone di qualcun'altro, sarai sempre il negro di qualcun'altro.
- "oh questi qua non si capisce niente quando parlano!"
- "è vero, sembra cinese."
Metto la carta, firmo qui, ecco lo scontrino, buonasera.
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