La generazione

Ho ascoltato l'album di Mauro Giovanardi "La mia generazione", che mi ha fatto ricordare molte cose. La generazione "di Giovanardi" è quella delle canzoni degli anni '90, e Giovanardi ne fa parte non puramente anagraficamente ma in quanto autore di alcune di quelle canzoni, coi La Crus. A guardare l'anagrafe, la "generazione" di Giovanardi dovrebbe invece fare un album di cover anni '80. Questo per dire che il progetto è atipico nel fatto che si tratta di una rivisitazione della musica che quella generazione stava facendo piuttosto che quella che ascoltava prima di iniziare a fare musica, che è quello che invece, di solito, definisce una "generazione".
Io quella musica degli anni '90 l'ho subita e parzialmente assorbita frequentando i piccoli eventi musicali della provincia di Alessandria nella prima metà dei '90 e Radio Gold (ai tempi Radio Gold Popolare Network) nella seconda. Non è mai stato molto il mio genere, nonostante oggettivamente ne siano uscite varie pietre miliari. Ciò che non mi attirava ai tempi e ho ritrovato ascoltando Giovanardi, è il clima spesso nichilistico e cupo, estraniato e a volte allucinato, spesso disilluso e cinico, evocato dalla musica e dai testi. Varrebbe la pena esaminare in maniera più scientifica la musica "indie" di quel periodo, per scoprire qualcosa di più su quella "generazione".
La distonia tra me e Giovanardi è evidente proprio nei pezzi da me preferiti: "Non è per sempre" degli Afterhours diventa un gioco per infilarci quanto più suono-Beatles possible, ai limiti della presa in giro; l'unico altro pezzo pesante meno di una tonnellata incluso nella raccolta, "Aspettando il sole" di Neffa, viene anch'esso ridicolizzato (involontariamente?) infarcendolo di sbuffi... non ho capito, caro Mauro Ermanno, ma volevi fare lo spiritoso? o sei serio? Guarda, lasciamo stare, missione fallita in ogni caso.
Una nota a parte merita "Forma e sostanza", simbolo e, appunto, sostanza di quella "scena" indie che per qualche anno vendette un sacco di dischi anche senza l'aiuto dei social network, che grazie al cielo non c'erano ancora. Musicalmente la versione non ha il coraggio nè di cercare di competere col muro di chitarre della ditta Zamboni/Canali, nè di provare a inventare una nuova interpretazione. Vocalmente, purtroppo, l'impresa è impossibile fin dall'inizio, in quanto FeS è una di quelle canzoni che esiste perfetta così com'è solamente col salmodiare di Giovanni Lindo Ferretti. E Ferretti è uno di quelli che o ti ipnotizza o lo rifiuti, uno di quelli che imprime un marchio talmente forte sulle canzoni da renderne accettabile una reinterpretazione solo da parte di incoscienti pazzi geniali che sapessero mostrarne un nuovo volto, diverso ma altrettanto terrificante dell'originale. In una parola, ci vorrebbe un cantante punk. Giovanardi, Clementi e Godano non sono evidentemente quel tipo di personaggio.
Quella "generazione" era post-punk, post-wave(s), post-pop, e come tutti i figli puntualmente ignorava e tradiva i propri padri.

Commenti