Sono appena tornato da New York dove ho visto Springsteen on Broadway. Cercando altre cose da fare in questi giorni, sono incappato in questo concerto, attirato, in realtà, dal nome di Michelle Shocked tra gli ospiti.
I Washington Squares erano (sono?) un trio che negli '80 lanciò una specie di revival un po' ironico dell'era beat/folk. (un articolo dell'epoca)
Dopo la morte di uno dei tre, avevano interrotto l'attività.
Il dieci gennaio era una reunion, con l'ex roadie/giornalista Mike Fornatale e il batterista Billy Ficca che li seguiva già ai tempi a supportare i due membri originali, Tom Goodkind, ora un vecchietto un po' svalvolato, e Lauren Agnelli di cui sono diventato un adoratore.
Questi qua si presentano sul palco con le magliette a strisce orizzontali e il basco sulle ventitrè ("ma c'è anche il mimo stasera?" ci chiediamo prima del concerto mentre Goodkind si aggira per la sala), chitarre acustiche, basso acustico e batteria. Goodkind suona anche il banjo elettrico (battezzato "banjovi" dalla Agnelli), accordato e suonato in maniera approssimativa ("good enough for folk") come anche la sua chitarra. La Agnelli e il bassista facevano la parte dei musicisti veri.
I vecchietti sfoderano con grinta wave/punk i loro pezzi più conosciuti, tutti sorprendentemente belli (mi ricordo You can't kill me, Greenback Dollar, You're not alone e il loro "anthem", New Generation, ma ce n'erano almeno un altro paio strepitosi). Eravamo in territorio Violent Femmes meets Pete Seeger meets Ramones meets Lou Reed, fantastico. Ho fatto qualche filmino col cellulare, che ho postato su youtube.
Due parole sulla location, City Winery, un ristorante-vineria (nel senso che il vino non solo lo vendono ma lo fanno proprio) nel Greenwich Village, coi tavoli davanti al palco come si vede nei film (ovviamente tutto acquistabile e prenotabile in tre clic via web, con tanto di biglietto elettronico sul cellulare), frequentato da ex-hippie assortiti e personaggi vari, e dove si mangia anche bene. Acustica ovviamente perfetta.
La serata tributo/reunion si è svolta secondo i sacri crismi / luoghi comuni del Village, con una poetessa stilepattismith Anne Waldman ad aprire con un paio di deliri, seguita da questo Richard Barone che ci canta When I'm Gone di Phil Ochs e ci dice che interpreterà lo stesso Ochs nel film in uscita (!), seguito da Michelle Shocked che prontamente mia moglie ha indagato su wikipedia scoprendo che negli ultimi trentanni è impazzita e rinsavita ripetutamente e in questa occasione ci ha proposto una "canzone" semidelirante accompagnata da un body-percussionist tap dancer (giuro), per poi fortunatamente lasciare spazio ai WS.
Fatti i loro "classici", tanto per gradire ci hanno anche sparato la loro versione di Everybody Knows di Cohen e hanno "concluso" con tutti sul palco a urlare Sweet Jane. I "bis" hanno visto arrivare sul palco un anziano, affetto da un principio di parkinson, introdotto con tutti gli onori ("il più grande artista folk americano vivente"- per un attimo ho temuto arrivasse Dylan ed ero già in arresto cardiaco), poi rivelatosi essere l'ottantenne Peter Yarrow, cioè il Peter di Peter, Paul & Mary, ancora in gran forma sia alla chitarra che alla voce a dispetto dell'evidente tremolio, che ci ha anche raccontato di quando è andato al capezzale di Pete Seeger, e lì quindi ci siamo ritrovati tutti a cantare Where have all the flowers gone e This Land Is Your Land. Apoteosi.
Mi mordo le mani di non essermi fermato a parlare con loro dopo il concerto e di non aver preso i vinili che vendevano al banchetto, edizioni originali a 50 dollari l'uno solo cash però eravamo stanchi morti e non avevamo contanti.
E quindi due cose volevo dire, una è andatevi/andiamoci ad ascoltare i Washington Squares su youtube, e due è che mentre tornavamo in albergo m'è venuta in mente una cosa che gli avrei voluto dire, e cioè che nonostante Trump e il razzismo e tutto il resto che accade negli USA, c'è una cosa che agli americani nessuno gli può togliere e che sono così fortunati di avere: poter cantare This land is your land. Io gliela invidio troppo, This land is your land. Si può dire di tutto e di peggio degli americani, ma This land is your land noi non ce l'abbiamo, e loro sì.
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