Richard Wray è stato il mio manager diretto dal 2007 al 2016. Mi ha insegnato, in primo luogo, come sia possibile non solo essere un manager efficace di un gruppo internazionale di colleghi che hanno rarissime occasioni di incontrarsi di persona, ma anche creare un vero spirito di squadra in questa situazione particolarmente complessa. Questo è molto rilevante oggi, post-COVID, quando vediamo molte iniziative di “back to office” e ci tocca spesso leggere di come apparentemente “solo in ufficio” sia possibile creare e mantenere la giusta motivazione e produttività; la mia esperienza di presales engineer in telelavoro dal 2006 mi dimostra esattamente il contrario.
Richard si trova
in Inghilterra e il suo team comprendeva colleghi in telelavoro da molti paesi
di Europa, Africa e Medio Oriente, i quali lavoravano in stretta collaborazione
coi rispettivi sales account manager, nella maggior parte dei casi in completa
autonomia. Un’importante lezione è infatti quella di non fare management dove
non ce n’è bisogno: se la squadra funziona e raggiunge gli obbiettivi indicati
dall’azienda, non è necessario intromettersi. In caso di problemi, va comunque
evitato il micromanagement: nessuno è mai magicamente migliorato nel proprio
lavoro sentendosi dire cosa deve fare; vanno chiariti insieme gli obbiettivi da
raggiungere, identificati gli ostacoli, e forniti i mezzi per superarli, se
necessario, ovviamente, fornendo indicazioni precise sul da farsi.
L’attività del
manager, a quel punto, si diventa necessariamente proattiva, evita di
inventarsi inesistenti problemi da risolvere ma consiste nel costruire nuovi strumenti
(od ottimizzare gli esistenti) per migliorare le prestazioni del gruppo. Specialmente
in grandi team ibridi (quelli dove, diciamo, più di una dozzina di persone
lavora in nazioni diverse, alcune avendo accesso a uffici e altre no, alcune in
diretto contatto col management, altre no) va mantenuto il giusto equilibrio
tra l’utilizzo degli strumenti digitali e gli incontri di persona: i primi possono
abilitare, ad esempio, efficienti training online, ma sono comunque carenti
nell’interazione personale rispetto agli incontri dal vivo, mentre nei secondi è
opportuno fornire occasioni di socializzazione informale, per trasformarli in
veri “team building”, mantenendo contemporaneamente chiaro e preponderante nell’agenda
lo scopo professionale dell’evento.
Una delle più
importanti lezioni che ho appreso da Richard è che il membro più importante di
un gruppo non è quello che sa di più, ma colui che condivide di
più. La condivisione delle informazioni è un fondamentale moltiplicatore dell’efficienza
di un gruppo di lavoro. Chi condivide le informazioni che ha imparato e allo
stesso tempo non ha paura di chiedere aiuto o porre le proprie opinioni al
vaglio del resto del gruppo quando necessario, agisce, in realtà, da leader, in
quanto coinvolge e trascina il gruppo verso risultati migliori. Questo
comportamento va quindi abilitato, incoraggiato e sostenuto.
L’altra grande
lezione fu il sales engineer manifesto, cioè i quattro-cinque principi guida
dell’operato del gruppo. Personalmente ritengo che mettere in chiaro tali
principi, anche macroscopici, sia sempre utile e necessario, in modo da avere a
disposizione delle fondamenta salde a cui fare riferimento nei momenti di
incertezza o difficoltà. Ai primi due posti dell’SE manifesto c’era 1) la cosa
più importante è la vostra famiglia e il vostro benessere, e 2) non c’è niente
che “non è di mia competenza”. In quest’ordine.
Le implicazioni
di questi due principi sono fondamentali. Il primo di essi stabilisce che il
benessere viene prima del business, un importantissimo concetto particolarmente
importante nei nostri tempi di “customer obsession”. Detto ciò, il secondo
principio chiarisce che non ci sono scuse, e la cultura del posto di lavoro è
focalizzata alla risoluzione dei problemi prima di qualunque altro obbiettivo (di
carriera, di prestigio personale) e prima di qualunque altro vincolo imposto
dall’organizzazione aziendale.
Un’organizzazione guidata dal concetto che non c’è niente che “non è di mia competenza” raggiunge naturalmente l’obbiettivo di moltiplicazione dell’efficienza garantito dalla condivisione delle informazioni e delle esperienze.
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