Il capitale nel XXI secolo, Thomas Pyketty

Ho da poco concluso la lettura di questo tomo, edito nel 2013, quindi ormai dieci anni fa. Non credo che la decade trascorsa l'abbia reso meno rilevante, anzi. Nelle 900 pagine del volume, Pyketty presenta i dati a sostegno della tesi secondo la quale “quando il tasso di rendimento del capitale supera regolarmente il tasso di crescita del prodotto e del reddito – come accadde fino al XIX secolo e come rischia di accadere di nuovo nel XXI – il capitalismo produce automaticamente disuguaglianze insostenibili, arbitrarie, che rimettono in questione dalle fondamenta i valori meritocratici sui quali si reggono le nostre società democratiche.” (grassetto mio). In altre parole, Pyketty sostiene l'eccezionalità del XX secolo sotto il punto di vista dell'evoluzione del capitalismo e della distribuzione della ricchezza, eccezionalità causata dalle due guerre mondiali, che hanno causato un crollo del valore dei patrimoni accumulati nei due secoli precedenti, creando l'opportunità per la classe media di emergere, ma senza intaccare i meccanismi di "divergenza" insiti nel capitalismo di libero mercato assoluto. In particolare, come riassunto nella conclusione:

La contraddizione di fondo del capitalismo: r>g

La lezione complessiva della mia ricerca è che il processo dinamico di un’economia di mercato e di proprietà privata, se abbandonato a sé stesso, alimenta importanti fattori di convergenza, legati in particolare alla diffusione delle conoscenze e delle competenze, ma anche potenti fattori di divergenza, potenzialmente minacciosi per le nostre società democratiche e per i valori di giustizia sociale sui quali esse si fondano.

Il principale fattore destabilizzate è legato al fatto che il tasso di rendimento privato del capitale r può essere molto e per molto tempo superiore al tasso di crescita del reddito e del prodotto g.

E anche:

Con un rendimento medio da capitale dell’ordine del 4-5% è pertanto probabile che la disuguaglianza r>g torni a essere la regola del XXI secolo, come lo è sempre stata nel corso della storia e, in tempi recenti, dal XIX secolo alla vigilia della guerra mondiale. Nel XX secolo, come si è visto, sono state le guerre a fare tabula rasa del passato e a ridurre fortemente il rendimento da capitale, dando così l’illusione di un superamento strutturale del capitalismo e della sua contraddizione di fondo.

Pyketty occupa gran parte del libro a ricordarci di com'era la società nel '700 e '800, attraverso una gran mole di dati ma anche con l'ausilio dei libri di Jean Austen e Balzac. Ad esempio, cita un brano da Papà Goriot di H. de Balzac, nel quale il cinico Vautrin spiega come vanno le cose al giovane Rastignac: “Verso i trent’anni diverrete giudice a milleduecento franchi l’anno, se non avrete ancora gettato la toga alle ortiche. Quando avrete raggiunto la quarantina, sposerete la figlia di qualche mugnaio, con circa seimila lire di rendita. Grazie tante! Se invece godrete di qualche protezione, sarete procuratore del re a trent’anni, con mille scudi di stipendio [cinquemila franchi], e sposerete la figlia del sindaco. Se poi commetterete qualche piccola bassezza politica, a quarant’anni sarete procuratore generale”. Pyketty commenta che “Di fatto, come vedremo, il discorso di Vautrin perde ogni validità, almeno provvisoriamente, nel corso del XX secolo per quanto riguarda le società europee. Nei decenni del dopoguerra, l’eredità si riduce davvero a poca cosa rispetto al passato, e forse per la prima volta nella storia sono il lavoro e lo studio a rappresentare il metodo più sicuro per raggiungere la vetta.” e che “Nel discorso di Vautrin, la retribuzione annua di 5000 franchi (dieci volte il reddito medio) di cui potrebbe usufruire il giovane Rastignac occupando l’incarico di procuratore del re, con chissà quali sforzi e rischi, è l’esempio stesso della mediocrità, che dimostra meglio di qualunque altro discorso che lo studio non porta da nessuna parte. Balzac ci dipinge una società in cui l’obbiettivo minimo è godere di un reddito venti o trenta volta superiore al reddito medio dell’epoca, o anche cinquanta volte, come permetterebbe di fare la dote di Delphine e Anastasie, o meglio ancora cento volte, come permetterebbe di fare il milione di franchi della signorina Victorine, grazie ai 50000 franchi di rendita annua che assicurerebbe.” Ora, potrebbe essere solo una mia impressione, ma trovo molte somiglianze con certe considerazioni che si sentono fare ai giorni nostri.

Più specificamente, tornando alla preoccupazione centrale del libro: “La domanda che preoccupa è: non sarà che il mondo del 2050 o del 2100 finirà nelle mani dei trader, degli alti dirigenti e dei detentori di patrimoni rilevanti, o dei paesi produttori di petrolio, o della Banca della Cina, o addirittura dei paradisi fiscali che faranno da copertura, in un modo o nell’altro, a tutti costoro? E secondo noi sarebbe assurdo non porla, continuando a pensare, per principio, che la crescita sia per sua natura a lungo termine “equilibrata”.

Un punto molto importante alla base della discussione sulle disuguaglianze, però, è se queste siano percepite o meno come un problema. “La storia delle disuguaglianze dipende dalla rappresentazione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è che si fanno gli attori economici, politici, sociali, dai rapporti di forza tra questi attori, e dalle scelte collettive che ne derivano.” Il mio timore è che abbiamo già oltrepassato il punto di non ritorno, dopo il quale, grazie all'incessante opera dei mass media, alcuni comportamenti truffaldini e predatori sono stati completamente normalizzati e, addirittura, portati a esempio di "buone pratiche". Ad esempio, Pyketty sottolinea che il nostro atteggiamento riguardo i miliardari in cima alla classifica di Forbes “È un culto della personalità spiegabile con il bisogno insopprimibile di dare un senso alle disuguaglianze.” e sottolinea concetti chiave come “Stando a certe dichiarazioni di dirigenti di società, come Google, il ragionamento sembra essere più o meno il seguente: “Noi arricchiamo la collettività ben più di quanto i nostri profitti e i nostri salari facciano pensare, dunque pagare poche tasse è il minimo che possiamo fare”. … Il problema, evidentemente, è che tutti hanno interesse a ritenersi portatori di una considerevole esternalità positiva per il resto del mondo. Ora, Google non ha presentato come avrebbe dovuto, all’avvio, uno studio del tutto rassicurante in tal senso. In ogni caso, è chiara la difficoltà a organizzare un’esistenza collettiva in un mondo in cui ciascuno pretende di fissarsi da solo il proprio livello di tassazione”. Frase, quest'ultima, che dovrebbe far riflettere circa l'atteggiamento delle grandi corporation mondiali ma anche del più modesto evasore della porta accanto.

Un punto che ho trovato illuminante nel libro è l'evoluzione dell'economia degli Stati Uniti d'America, che qua da noi continuano a godere della fama di "terra delle opportunità" quando ormai si sono trasformati un ben altro. In particolare: “La fortissima crescita demografica del Nuovo Mondo ha fatto sì che il peso dei patrimoni ereditari sia sempre stato (in passato), negli Stati Uniti, più ridotto che in Europa.” Oggi, invece, gli USA sono il primo posto al dove le gerarchie sociali tendono a ripetersi immutate: “Nel nostro ambito di ricerca, il risultato più plausibile è il seguente: la riproduzione intergenerazionale [della ricchezza] più bassa è quella dei paesi nordici, e la più alta è quella degli Stati Uniti … . Francia, Germania e Regno Unito appaiono in una posizione intermedia … . Sono risultati che contraddicono in modo singolare quella convinzione nell’“eccezionalismo americano” che ha a lungo condizionato la sociologia americana, secondo la quale gli Stati Uniti, rispetto alle società classiste europee, si caratterizzerebbero per una mobilità sociale eccezionalmente forte.” E ancora, riguardo alle tendenze divergenti in atto in ambito di distribuzione dei redditi: “Se la tendenza americana dovesse proseguire, nel 2030 i redditi mensili – sempre per un uguale salario medio di 2000 euro al mese – potrebbero essere di 9000 euro per il 10% piu’ abbiente …, di 1750 euro per il 40% intermedio e soltanto 800 euro al mese per il 50% meno abbiente. In concreto, impegnando appena una piccola parte del suo reddito, il 10% più abbiente potrebbe assumere come domestici una buona parte del 50% meno abbiente.” Il problema non è ancora esplosivo in quanto “Per una buona parte del 50% degli americani meno pagati, queste disuguaglianze passano infatti in secondo piano, per la semplice ragione che quel 50% è nato in un paese meno ricco e si colloca su una linea nettamente ascendente. Va sottolineato che il meccanismo di redistribuzione tramite l’immigrazione … sta interessando nel corso del primo decennio del XXI secolo tanto l’Europa quanto gli Stati Uniti … . Inoltre va ricordato che … la redistribuzione tramite l’immigrazione non fa che spostare in avanti in problema, ma non esonera dal predisporre le regole – stato sociale, imposta progressiva sul reddito, imposta progressiva sul capitale – che oggi sono necessarie.

Sempre a proposito dei luoghi comuni sui quali gli USA hanno costruito la propria immagine tra i paesi occidentali, potrebbe risultare sorprendente scoprire che “Roosevelt (in seguito alla grande depressione)…decide immediatamente di rialzare con forza il tasso superiore dell’imposta sul reddito … al 79%, superando il precedente record del 1919. Nel 1942, il Victory Tax Act fa salire ancora il tasso superiore, fino all’88%, livello portato nel 1944 al 94%, con vari supplementi d’imposta. Il tasso superiore si stabilizza poi, fino alla metà degli anni sessanta, attorno al 90%, per poi scendere al 70% all’inizio degli anni ottanta.” “Il solo paese a raggiungere i valori più alti americani – o anche a superarli … - è il Regno Unito. Il tasso applicabile ai redditi britannici più elevati raggiunge il 98% negli anni quaranta e poi di nuovo negli anni settanta, che è un record storico assoluto. Va anche notato che una distinzione spesso applicata durante quel periodo in entrambi i paesi riguarda la differenza tra “reddito guadagnato” … cioè il reddito da lavoro …, e “reddito non guadagnato” … cioè il reddito da capitale (affitti, interessi, dividendi, ecc.). … capita a volte che il tasso superiore applicabile al “reddito guadagnato” sia leggermente inferiore … . È una distinzione interessante, perché’ traduce in linguaggio fiscale il grado di sospetto nei confronti dei redditi più alti: tutti i redditi elevati sono sospetti, ma quelli “non guadagnati” lo sono ancora di più. Il contrasto con il contesto attuale, nel quale, in molti paesi, soprattutto europei, sono invece i redditi da capitale a beneficiare di un regime piu’ favorevole, è impressionante.

Riguardo i (supposti) meccanismi di convergenza della ricchezza insiti nel capitalismo, Pyketty osserva che “Il meccanismo basato sulla mobilità del capitale non sembra il più adeguato, o quantomeno il più accreditato, a promuovere la convergenza tra paese e paese. Nessuno dei paesi asiatici che hanno in qualche misura agganciato i paesi più sviluppati, ieri il Giappone o la Corea o Taiwan, oggi la Cina, ha beneficiato di massicci investimenti stranieri. In sostanza, questi paesi si sono finanziati da soli gli investimenti in capitale fisico di cui avevano bisogno, e soprattutto gli investimenti in capitale umano – la crescita del livello di cultura e formazione -, grazie ai quali, come dimostrano tutte le attuali ricerche, si spiega di fatto la crescita economica a lungo termine. Al contrario, i paesi posseduti da altri, come nel caso dell’epoca coloniale o dell’Africa di oggi, sono stati piu’ penalizzati, in particolare da competenze ben poco sviluppate e da un’instabilità politica cronica.” 

E soprattutto che “Riassumendo, l’esperienza storica suggerisce che il principale meccanismo di convergenza tra paese e paese è la diffusione delle conoscenze, a livello internazionale e a livello nazionale. … Questo processo … non cade dal cielo: viene spesso accelerato dall’apertura internazionale e commerciale … e dipende soprattutto dalla capacità di ciascun paese di mobilitare finanziamenti e istituzioni che permettano di investire in misura massiccia nella formazione delle persone, sempre garantendo un quadro legale condivisibile per i diversi attori. Ciò è dunque intimamente legato al processo di costruzione di un potere pubblico legittimo ed efficiente.

Altri luoghi comuni che spesso anche da noi ci vengono proposti come verità assodate vengono smontati: “Le persone anziane sono in media, certamente più ricche delle persone giovani. Ma la concentrazione dei patrimoni, in realtà, è forte tanto all’interno di ciascuna fascia d’età quanto rispetto all’intera popolazione. In altri termini, contrariamente a un’idea molto diffusa, la lotta tra generazioni non ha sostituito la lotta di classe. La fortissima concentrazione di capitale si spiega in primo luogo con l’importanza del patrimonio ereditario e dei suoi effetti cumulativi (per esempio è più facile risparmiare quando si è ereditato un appartamento di quando si ha un affitto da pagare).” E anche, riguardo l'importanza della ricchezza delle generazioni precedenti: “I cinesi in età lavorativa, che vedono oggi crescere il proprio redito del 5-10% l’anno, sanno benissimo che il loro patrimonio, nella grande maggioranza dei casi, dipende prima di tutto dal risparmio personale e non dal risparmio dei genitori o dei nonni, i quali disponevano di redditi infinitamente inferiori ai loro. Il ritorno dell’eredità a livello mondiale costituisce forse – anzi, di sicuro – una prospettiva importante per la seconda metà del XXI secolo. Ma per i prossimi decenni, si tratterà soprattutto di una realtà europea, e solo in minor misura statunitense.

Per correggere questa situazione potenzialmente esplosiva, Pyketty propone una tassa globale sul capitale, nell'ordine dell'1% per i capitali sopra il miliardo di euro. Una proposta utopistica per stessa ammissione dell'autore, ma che viene presentata come necessaria in primo luogo per ripristinare la trasparenza sui movimenti e sull'entità del capitale globale, senza i quali non è possibile costruire le fondamenta economiche alla base di una società giusta. “Il compito principale dell’imposta sul capitale non è quello di finanziare lo Stato sociale, quanto di regolare il capitalismo. Da un lato si tratta di evitare la spirale infinita della disuguaglianza e il processo illimitato delle divergenze patrimoniali, dall’altro di consentire una regolamentazione efficace delle crisi finanziarie e bancarie. Tuttavia, prima di poter assolvere a questa duplice funzione, l’imposta sul capitale deve consentire di raggiungere un obiettivo di trasparenza democratica e finanziaria sui patrimoni e gli attivi detenuti da tutti su scala internazionale.

La scommessa democratica non è di poco conto: fino a quando sussisterà una simile opacità sulla distribuzione dei patrimoni e delle ricchezze mondiali, risulterà estremamente difficile avviare un dibattito sereno sulle grandi sfide del mondo attuale, quali il futuro dello Stato sociale, il finanziamento della conversione energetica, la costruzione dello Stato nei paesi del Sud del mondo ecc.

La ragione più plausibile per la quale i paradisi fiscali difendono il segreto bancario sta nel fatto che da una parte l’accorgimento sottrae i loro clienti dagli obblighi fiscali, dall’altra permette a loro stessi di prelevare una parte del beneficio corrispondente. Il problema, evidentemente, è che una tale condotta non ha niente a che vedere con i principi dell’economia di mercato. Il diritto di fissarsi da soli il tasso d’imposta non esiste. Non ci si può arricchire con il libero scambio e l’integrazione economica con i propri vicini, per poi eluderne l’imposizione fiscale in totale impunità. È una cosa che equivale al furto bello e buono.

Pyketty vede - a ragione, a mio parere - l'Europa come il posto dove sia più necessaria e più fattibile l'introduzione di una misura del genere: “Il caso più estremo è quello dell’Europa, che è insieme il continente in cui i patrimoni privati sono i più alti del mondo e il continente che incontra più difficoltà a risolvere la crisi del debito pubblico. Strano paradosso.” Viene citato, inoltre, un fatto di cronaca per sottolineare un concetto importante: “Nel febbraio 2012, la giustizia francese fa sequestrare più di 200 metri cubi di beni (automobili di lusso, quadri d’autore, ecc.) nell’hotel particulier, in Avenue Foch, di proprietà di Teodorin Obiang, figlio del dittatore della Guinea Equatoriale. … si tratta di un episodio esemplare e istruttivo, che dimostra come la proprietà privata sia un po’ meno sacra di quanto a volte si pensi, e come sia tecnicamente possibile, volendo, trovare il filone giusto nel complicato dedalo delle tante società di comodo attraverso le quali i vari Teodorin Obiang amministrano beni e partecipazioni.

Il libro, per ampi tratti, ricorda una serie di lezioni universitarie, e avrebbe beneficiato di qualche sforbiciata qua e là. Ha sicuramente il pregio di contribuire a un dibattito che oggi è sempre più ideologizzato e spesso caratterizzato da posizioni dogmatiche. Che è cosa buona e giusta, ma forse insufficiente a fronte delle forze macroscopiche che premono sull'acceleratore del capitalismo. 
In particolare, durante l’ancien regime e alla vigilia della Rivoluzione francese, oppure, più in generale, nelle società rurali tradizionali, è possibile che la quota del decile superiore abbia varcato la fatidica soglia del 50% e si sia avvicinata al 60% del reddito nazionale - o lo abbia persino oltrepassato, sia pure di poco. Infatti il carattere più o meno sostenibile di disuguaglianze così estreme dipende non soltanto dall’efficacia dell’apparato repressivo ma anche – e forse soprattutto – dall’efficacia dell’apparato di legittimazione delle disuguaglianze stesse.
Precisiamo subito che, per il momento, non intendiamo stabilire se la società che abbiamo descritto si possa davvero definire “ipermeritocratica”. Non è affatto sorprendente che chi ha tutto da guadagnare in una società del genere preferisca denominare così la gerarchia sociale, e riesca persino a convincere una parte di coloro che hanno tutto da perdere della fondatezza della denominazione.

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