"questo atteggiamento sottende una sorta di discriminazione positiva basata sul genere, come se esistesse un 'pensiero femminile" condiviso da tutte le donne. [...] Supporre che esista un pensiero di genere, si configura in modo simile alle concezioni razziali.
Da un altro lato, allargando lo sguardo, questo atteggiamento rivela un progressivo prevalere del presunto "naturale" sul culturale. Essere donna o uomo non è una scelta. Pur aderendo all'idea, sempre più diffusa, della fluidità di genere, rimane il fatto che qualunque genere si voglia adottare - compreso il non-genere - questo non presuppone un pensiero comune e condiviso. Ipotizzare che esista un pensiero, per quanto fluido, legato a un genere, anche temporaneo, significa "naturalizzare" quel genere, attribuendogli la capacità di condizionare il pensiero, nello stesso modo in cui si pensa che una presunta "razza" possa determinare una cultura'
Questo ritorno al "naturale" è peraltro già apparso evidente in molte istanze localistiche, oggi sovraniste, in cui si fa appello alle "radici", riducendo l'individuo a metafora arborea, condannata dalla natura del terreno in cui è nato a essere quello che è."
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