"Una volta trovato il documento finale di Porto Alegre del 2002, la mia prima reazione è stata: "ma davvero c'hanno menato solo per questo?" Intendiamoci, non è che quel testo non fosse condivisibile, anzi, ma è diventato talmente generico e lapalissiano da sembrare quasi banale. Oggi qualsiasi articolo che descriva la situazione del pianeta, compresi quelli scritti con l'intenzione di non cambiare assolutamente un cazzo, dice praticamente le stesse cose. I problemi che andavano risolti erano talmente evidenti e le richieste avanzate, capaci di scatenare la più feroce delle repressioni di piazza, talmente urgenti, che ora improvvisamente sembrano semplici, elementari. Ma sono ancora tutti lì."
"Al di là della vastità e della disumanità delle sofferenze inflitte, Bolzaneto è stata una sorta di bolla spazio-temporale nella quale, per una serie concomitante di eventi imprevisti e disastrosi, si sono concentrati e hanno trovato libera espressione un modus operandi e dei paradigmi culturali tutt'altro che inusuali nelle forze dell'ordine. Non si è trattato di una follia temporanea tempestivamente sfruttata da un manipolo di "mele marce": chiunque abbia a che fare con il carcere, chi frequenta quotidianamente le aule penali, lo sa bene. La mancanza di una linea di comando definita e l'impossibilità non scritta, ma imprescindibile, per gli ufficiali presenti di imporsi a uomini non formalmente consegnati al proprio comando o di mettere in discussione un pari grado, hanno creato condizioni particolari in cui si sono espressi paradigmi comportamentali acquisiti e in qualche modo consueti. L'omertà come valore, il detenuto vissuto e riconosciuto come nemico a prescindere, la violenza come cifra del rapporto con l'altro, la subcultura di estrema destra vissuta come codice morale ed etico di riferimenti, sono tutti aspetti che la vicenda di Bolzaneto ha messo in luce in tutta la sua spaventosa evidenza".
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