I temi della demografia, del sovrappopolamento e dello spopolamento mi affascinano per vari motivi. E' dai tempi di Malthus che ci viene prospettata la minaccia della sovrappopolazione: l'umanità ha finora trovato una soluzione, ma a che prezzo? La popolazione mondiale continua a crescere, come anche l'efficienza nella produzione di cibo, ma allo stesso tempo crescono lo sfruttamento delle risorse naturali, le disuguaglianze sociali, per le quali qualcuno ha bisogno di 2 dollari al giorno per sopravvivere e a qualcuno non ne bastano 2000, e la frequenza delle periodiche crisi, carestie e guerre. Contemporaneamente, vediamo davanti a noi la diminuzione della popolazione delle nazioni ricche, e con essa lo spopolamento di molte zone rurali. Vediamo le previsioni di un futuro prossimo in cui la popolazione mondiale smetterà di crescere e ci domandiamo quali nuovi equilibri saranno necessari per sostenere un'umanità sempre più anziana.
Questi temi sono affascinanti anche perché a riguardo tocca sorbirci anche un sacco di baggianate e una buona dose di allarmismo fondamentalmente razzista. Io infatti non mi spiego i toni terrorizzati e terrorizzanti coi quali viene sempre presentato il tema della diminuzione della popolazione nelle nazioni ricche (e bianche): in primo luogo, non viene mai spiegato precisamente perché la diminuzione della popolazione sarebbe un problema, e nel migliore dei casi ci si ferma a un generico e vaghissimo "eh ma allora chi le pagherà le nostre pensioni?".
Un effetto reale dello spopolamento che possiamo toccare tutti con mano è quello descritto in questo articolo: La rivista il Mulino: Un futuro per i luoghi demograficamente rarefatti. I "luoghi demograficamente rarefatti" sono, in parole più povere, i paesi dell'Italia rurale che vanno spopolandosi, fino all'abbandono. In Meridione, il problema colpisce l'intera regione: la popolazione ha perso milioni di persone a causa del declino delle nascite e dell'emigrazione. Possiamo immaginare facilmente che uno spopolamento di queste dimensioni generi pericolose situazioni di degrado. Al Nord, meta dell'emigrazione meridionale, i centri urbani continuano a crescere (continuando a seppellire territorio sotto colate di cemento), ma la campagna continua inesorabilmente a spopolarsi: anche le zone collinari meno impervie risultano troppo scomode per chi non può recarsi al lavoro o a scuola a piedi, e il declino della disponibilità di servizi pubblici accompagna quello del numero di esercizi commerciali. Il telelavoro e le comunicazioni telematiche rese possibili dalle tecnologie digitali potrebbero aiutare a invertire queste tendenze, ma è inutile sognare.
Questo mese si occupa del tema anche Le Scienze, con alcuni interessanti articoli. Se il contenuto è come al solito ineccepibile, i toni dei titoli purtroppo sono allarmistici come altrove: "finire intrappolati in un declino senza fine", "un declino demografico senza fine", "siamo in crisi demografica", eccetera, che purtroppo vanno spesso ad alimentare la foia dei nazisti dell'illinois che ci ritroviamo al governo e nell'elettorato.La realtà, comunque, è sotto gli occhi di tutti, e Le Scienze ce lo spiega bene: "un declino così consistente comporta rapido invecchiamento della popolazione, abbandono di interi centri, squilibrio demografico, impossibilità di garantire i servizi di base". Le soluzioni? "Politiche sociali, economiche e politiche integrate ed efficaci. Con la sola demagogia non si va da nessuna parte". E più precisamente, riferendosi agli scenari disegnati dall'ISTAT per i prossimi decenni, quello che "tiene ancora aperta la possibilità di contenere gli squilibri sulla struttura per età ed evitare la 'trappola demografica' ... contempla una combinazione di aumento della fecondità che arriva a 1,82 nel 2050 (di fatto sui valori più alti in Europa, vicino ai livelli della Francia)" (e che quindi è un'illusione bell'e buona) "e di un saldo migratorio con l'estero che sale verso 250000 (che corrisponde a ingressi annui che si portano sopra 350000)".
Purtroppo Le Scienze dedica la pagina seguente alle "politiche familiari" per "favorire un ecosistema favorevole alla libera scelta" di chi vuole avere figli, senza dedicare alcun approfondimento alle politiche di gestione dell'immigrazione, che invece sono cruciali, come peraltro ben chiarito nei paragrafi precedenti: "La Germania è il caso più interessante di paese recentemente riuscito a invertire la tendenza combinando attente politiche familiari con la capacità di attrarre e gestire flussi migratori di persone in età lavorativa e riproduttiva". Fa amaramente sorridere che dopo aver detto (a proposito della Cina) che "un paese con un forte controllo sulla popolazione può programmare la crescita di produzione di qualsiasi bene, tranne che delle nascite" si perda un'intera pagina a parlare di fantomatiche politiche di housing e altri voli pindarici volte a far fare figli agli italiani.
Se stiamo affrontando il tema dello spopolamento dal punto di vista scientifico, le politiche di gestione dell'immigrazione sono un tema da sviscerare a fondo tanto quanto quello della fecondità della popolazione già residente. Si tratta però di un tema spinoso e ormai tabù, quindi Le Scienze glissa. Specularmente, sembra indiscutibile che si debba trovare un modo per far fare più figli alla gente, e quindi se ne (stra)parla a lungo senza mai domandarsi se forse la realtà è che chi vuole fare i figli li fa, e chi non li vuole non li fa, ed è una scelta che poco o nulla ha a che vedere con la scienza o l'economia.
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